Lo zafferano in oculistica

Zafferano

Studi clinici italiani dimostrano che Crocus sativus L. rallenta l’evoluzione della degenerazione maculare senile

Lo zafferano (Crocus sativus L., fam. Iridaceae) è un’erba perenne coltivata in Iran, India e alcuni paesi del bacino mediterraneo compresa l’Italia, la cui fama rende superfluo ricordare che si usa come droga, spezia e colorante: le prime tracce scritte che lo riguardano risalgono al 2.300 a.C. e sono del 1.700-1.600 a.C. gli affreschi che nel palazzo di Minosse, a Cnosso, ne ritraggono i fiori. Non a caso l’origine di C. cartwrightianus, da cui il sativus deriva come specie domestica, si colloca in Grecia e più precisamente a Creta. Lo ritroviamo in molte tradizioni etno-botaniche, citato per la cura d’un centinaio di malattie. La farmacologia moderna ne ha avallato alcuni utilizzi tradizionali dimostrando che attenua la sindrome premestruale, è un blando antidepressivo, migliora le prestazioni cognitive, è antiossidante e, in vitro, ha effetti anti-tumorali, anti-genotossici e neuro-protettivi. Il fitocomplesso contiene diverse molecole volatili, la principale delle quali è il safranale cui s’attribuiscono molte delle citate azioni biologiche e la gran parte dell’aroma; nella droga fresca questa terpenaldeide ciclica è legata a un residuo di β-D-glucopiranosio a formare il glicoside picrocrocina da cui si libera allo stato secco o per azione del calore. Tra i composti non-volatili di grande valenza fitoterapica ci sono l’α-crocina (che dà il tipico colore giallo-arancio) e diversi carotenoidi tra cui zeaxantina, licopene, α e β-carotene. L’α-crocina è il prodotto d’esterificazione tra due unità di β-D-gentiobiosio e crocetina, acido bicarbossilico a struttura diterpenica simmetrica con sette insaturazioni e quattro gruppi metilici.

La degenerazione maculare senile
Degenerazione maculare senile (AMD, Age related Macular Degeneration) e retinopatia diabetica sono le principali cause di cecità legale in occidente. La prima è una patologia progressiva con incidenza intorno al 20% e leggera prevalenza nel sesso femminile, che si manifesta in età avanzata per un deterioramento dell’istologia e funzione della macula, la struttura retinica i cui fotorecettori (prevalentemente coni) sono deputati alla visione centrale distinta e alla percezione di dettagli e colori. Non provoca la cecità totale, ma altera sensibilmente il visus lasciandolo quasi normale in periferia, ma con immagini offuscate o buchi al centro; l’impatto sulla qualità di vita e l’autosufficienza di chi ne soffre è devastante. Clinicamente sono classificabili due tipi di AMD: la forma secca (90% dei casi) è caratterizzata da insufficiente apporto di sangue alla macula, atrofia delle cellule dell’epitelio pigmentato retinico (RPE) e formazione di corpi di Drusen che interferiscono con la funzione degli elementi maculari deputati alla visione centrale. Sono depositi bianchi o giallastri quasi sempre patognomonici di AMD che infiltrano la membrana di Bruchs; nelle fasi iniziali, Drusen larghi e morbidi s’associano a iper o ipo-pigmentazione dell’RPE con moderata perdita di visione centrale; gli stadi avanzati sono contraddistinti da atrofia geografica dell’RPE con perdita funzionale pressoché completa.
L’AMD umida o essudativa è la forma più severa, sebbene infrequente: sotto la macula si creano formazioni neovascolari avvolte da una membrana molto fragile attraverso cui fuoriesce essudato che danneggia i fotorecettori. I vasi possono rompersi dando microemorragie cui seguono tentativi di riparazione con esiti cicatriziali e perdita anatomica e funzionale; alla base c’è un eccesso di VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor).
Non esistono terapie efficaci per l’AMD: secondo il vasto studio clinico AREDS (Age Related Eye Disease Study) l’evoluzione è però rallentata dallo zinco e da alte dosi d’antiossidanti, specie zeaxantina e luteina, due xantofille che si concentrano nella macula proteggendola dalla foto-ossidazione. È invece la crocetina, sinergizzata dagli altri carotenoidi e antiossidanti, la molecola-chiave per spiegare gli effetti dello zafferano sull’occhio (vedi box).

Studi clinici sull’uomo
Sulle applicazioni oculistiche dello zafferano la ricerca italiana è molto prolifica: nel 2010 un trial clinico randomizzato (Falsini B. et al) ha dimostrato che la somministrazione per tre mesi di 20 mg/die di zafferano migliora la flicker sensitivity in pazienti ai primi stadi dell’AMD. La flicker sensitivity è un parametro clinico-diagnostico elettro-fisiologico (dunque oggettivo) che aiuta a caratterizzare l’origine dei deficit visivi. Lo studio ha coinvolto 25 soggetti non in terapia, età 54-85 anni, con AMD bilaterale allo stadio iniziale (diagnosi posta con oftalmoscopia diretta ed indiretta, biomicroscopia retinica e osservazione delle lesioni maculari primarie) divisi in gruppo sperimentale (n=11) e gruppo placebo (n=14) incrociati dopo 15 giorni di wash out al termine del periodo di trattamento.
Rispetto al placebo, lo zafferano ha migliorato i parametri f-ERG (elettro-retinogramma focale) maculari quali ampiezza e soglia di modulazione e la flicker sensitivity (endpoint primario) riflesso d’una azione positiva su fotorecettori e neuroni bipolari. In 20 pazienti è migliorata anche l’acuità visiva (endpoint secondario). La ricerca è stata ripetuta su altri 29 pazienti per scoprire se questi effetti permangono somministrando lo zafferano per periodi più lunghi (media = 14 ± 2 mesi). I risultati hanno confermato che 20 mg/die per os inducono in soggetti con AMD iniziale miglioramenti stabili della funzione retinica misurata tramite la sensibilità fERG. Queste favorevoli misurazioni elettro-fisiologiche si accordano con la percezione dei pazienti i quali hanno comunicato un miglioramento della qualità della vista e, di conseguenza, della loro vita.
Gli autori dello studio ritengono che più meccanismi farmacodinamici siano alla base di questi effetti: l’azione antiossidante, l’inibizione dell’apoptosi cellulare attraverso le caspasi, la modulazione dell’espressione genica di altri fattori cellulari ad azione neuro-protettiva. La droga non è tossica ed è molto ben tollerata alle dosi e alla posologia in uso.
Per la crocetina è disponibile anche uno studio farmacocinetico open-label su 10 volontari: essa viene assorbita molto rapidamente nel tratto gastro-intestinale (più della luteina, del licopene e del beta-carotene) e diventa dosabile nel plasma dopo circa 1 ora (Tmax = 4-4.8 ore); la Cmax misurata va da 100.9 a 279.7 ng/ml, l’emivita è 6.1-7.5 ore. Sappiamo anche che l’α-crocina non viene assorbita come tale ma è idrolizzata pressoché completamente a crocetina + zuccheri; la crocetina è metabolizzata a mono e diglucuronide, quindi viene eliminata.
Saranno necessari ulteriori ricerche per confrontare l’efficacia terapeutica dello zafferano con quella di altre preparazioni antiossidanti già presenti sul mercato per la terapia dell’AMD (tipo la preparazione AREDS) e capire se i benefici trascendano i primi stadi della malattia.

Risultati di alcuni test in vitro e in vivo
In vitro la crocina protegge i recettori visivi di bovini e primati dal danno foto-indotto: colture primarie di cellule retiniche sono state esposte per un giorno a luce attinica blu e fluorescente bianca incubandole con varie concentrazioni di crocina per 24 ore prima e 8 ore dopo l’irradiazione; i controlli erano colture tenute al buio. Sono stati quantificati col Tunel – assay (Terminal deoxynucleotidyl transferase dUTP Nick-end Labelling) il danno genetico e col dosaggio colorimetrico degli acidi nucleici la morte cellulare. L’esposizione alla luce uccide il 70-80% di coni e bastoncelli nelle colture di controllo, mentre quelle trattate con crocina sono protette in modo dose-dipendente, con un’EC50 circa 30 µM. Sempre in vitro l’aglicone crocetina contrasta il danno cellulare indotto da tunicamicina e acqua ossigenata su cellule gangliari retiniche e inibisce la caspasi-3 e -9. Ciò ha fatto pensare che la crocetina protegga i fotorecettori (e non solo) sia come antiossidante che modulando l’apoptosi attraverso le caspasi; quest’ipotesi integra, senza smentirla, una precedente secondo cui la crocina e i derivati disaccaridici della crocetina aumentano il flusso ematico e l’ossigenazione della retina. La capacità dello zafferano di conservare nei mammiferi morfologia e funzione retinica dopo irradiazione fotodanneggiante è stata dimostrata in ratti Sprague-Dawley: la dieta degli animali d’un gruppo sperimentale è stata integrata con 1 mg/Kg/die d’estratto di zafferano o beta-carotene prima di esporli a luce brillante continua per 24 ore registrando elettro-retinogrammi flash il giorno prima e una settimana dopo il test. Un primo blocco d’animali è stato sacrificato alla fine della seconda sessione di controlli misurando sulle retine lo spessore dello strato nucleare esterno. Le variazioni d’espressione proteica e la distribuzione del Fibroblast Growth Factor 2 (FGF2).
In un altro trial le retine sono state prelevate subito dopo l’esposizione alla luce e sottoposte al TUNEL-assay per valutare il livello d’apoptosi. L’irradiazione induce la morte quasi esclusivamente nello strato di fotorecettori, ma questo evento è significativamente prevenuto dalla somministrazione orale di zafferano e beta-carotene; la luce causa anche una forte up-regulation del FGF2 nei controlli e nel gruppo d’animali trattato con beta-carotene ma non in quelli trattati con zafferano. Nei topi si può indurre un danno retinico anche con l’N-metil-D-aspartato (NMDA) intra-vitreale che attiva le caspasi 3 e 7 e l’espressione della caspasi-3-clivata nelle cellule dello strato gangliare e di quello profondo della retina. Anche in questo modello la crocetina ha effetto protettivo: riduce il numero di cellule TUNEL-positive dopo somministrazione di NMDA e inibisce la conseguente riduzione d’ampiezza delle onde beta ma non delle alfa nell’elettroretinogramma (il meccanismo è sempre per interferenza con le caspasi). La crocetina, in vitro, ha anche un’azione accessoria anti-VEGF, dunque anti-angiogenica, perché inibisce la migrazione delle cellule endoteliali micro-vascolari della retina inibendo la fosforilazione della p38.