Un sabato mattina di cinquant’anni fa, a porte chiuse, Charles Kelman effettuava al Manhattan Eye, Ear and Throat Hospital di New York il primo, storico intervento di facoemulsificazione. Nel luglio dello stesso anno pubblicava nell’AJO il primo articolo sulla tecnica, “Phaco-Emulsification and Aspiration: A new technique of cataractremoval: A preliminary report.”
Al tempo, non furono in molti a comprendere la portata rivoluzionaria della sua invenzione e numerosi furono invece i detrattori che la bollarono come ridicola, pericolosa ed illecita. Ancora al centro di accese controversie nel corso degli anni 70, la facoemulsificazione fu adottata da una ristretta minoranza di chirurghi negli USA, tra cui Richard Kratz e Jared Emery, che pubblicamente la difesero presentando i risultati dei primi studi comparativi.
Nel frattempo, un piccolo gruppo di chirurghi europei cominciò ad interessarsi alla nuova tecnica, ad incontrarsi, a parlarne e a sperimentare. Lucio Buratto fu tra i primi: in un’Italia ancora saldamente ancorata alle tradizioni accademiche, ebbe la lungimiranza e il coraggio di affermare pubblicamente che la faco sarebbe stata il futuro e di metterla in pratica con i propri mezzi. Lo fece tra il clamore delle critiche, supportato da pochi visionari come lui disposti a sfidare le ortodossie mettendo in gioco il proprio rapporto con le istituzioni.
Nel 1977 Lucio Buratto incontrò Bruno Monfrini, allora direttore commerciale di Acise-Schwindt, il quale gli parlò con entusiasmo della tecnica, che personalmente aveva visto eseguire, e lo portò con sé ad assistervi nello studio del professor Dossi a Torino. Primissimi italiani a cimentarsi con la faco, Fabio Dossi e Franco Verzella avevano verso di essa un atteggiamento ancora cauto e cenacolare. Coraggiosamente e con lungimiranza la utilizzavano nelle loro sale operatorie, strettamente a porte chiuse. Fu Lucio Buratto a spalancare quelle porte, e Bruno Monfrini gliene offrì la chiave.
“Se è vero che ognuno è artefice della propria fortuna, è altrettanto vero che ci sono persone che hanno un ruolo cruciale nell’indicarti la strada. Bruno è stato per me un aiuto fondamentale, e sempre gli sarò grato anche per il supporto costante che mi ha dato negli anni successivi”, dice con affetto Lucio Buratto.
Dopo Dossi, Lucio Buratto non del tutto convinto, si diresse verso Bonn, da Ulrich Dardenne, che insieme ad Eric Arnott a Londra era stato il pioniere della faco in Europa.
“Dardenne diede il colpo finale alle mie incertezze e tornai deciso ad organizzarmi con tutto il necessario per iniziare la facoemulsificazione”, continua Buratto.
Un paziente apprendistato
Non fu facile, per un giovane oculista con limitate risorse economiche, acquistare un facoemulsificatore, un microscopio e tutti i ferri chirurgici necessari ad eseguire la tecnica. Tentò di coinvolgere due colleghi, per condividere la spesa e l’avventura, ma non trovò l’alleanza che sperava.
Due banche gli rifiutarono un leasing, la terza acconsentì quando ormai aveva perso quasi ogni speranza. Il prestito ammontava a circa 18 milioni di lire, che in quegli anni erano una cifra considerevole.
Lucio Buratto piazzò il nuovo strumento in una stanza concessa dalla Clinica Quattro Marie di Milano, e iniziò a far pratica sugli occhi di coniglio. Il prezioso amico Monfrini era al suo fianco, gli procurava i conigli, e insieme li anestetizzavano ed eseguivano gli interventi.
Dopo diversi mesi iniziarono i primi interventi sui pazienti, ma le difficoltà e le incertezze erano ancora tante. Buratto ebbe l’umiltà di ammettere con sé stesso che non era ancora pronto per affrontare da solo questa chirurgia, e si decise a compiere il viaggio decisivo verso l’America. Era il 1979.
“Charlie Kelman - racconta Buratto - mi accolse nel suo ufficio a Manhattan e nel viaggio verso l’ospedale dove operava, mentre fuori infuriava una bufera di neve, mi diede la prima lezione sulla faco: come per pilotare bene un elicottero, è necessario saper utilizzare mani e piedi in contemporanea e separatamente, con lo sguardo ben fermo sulla propria rotta. Pilotare un elicottero nel cielo è come pilotare una punta faco dentro l’occhio, occorre valutare profondità e lunghezza, ed avere la mano ferma e ben controllata.”
Il suo apprendistato americano continuò a Los Angeles da Bob Sinskey, a Las Vegas da Steve Shearing, e poi di nuovo in California, a Van Nuys, da Richard Kratz.
“Da Dick Kratz finalmente scoprii la tecnica di faco che faceva per me, quella bimanuale con spatolina nella mano sinistra. E da allora tutto fu più semplice”, ammette Buratto.
Una sfida per il futuro
Uno dei grandi meriti di Lucio Buratto fu quello di rendere pubbliche le proprie convinzioni e divulgare la tecnica, abbattendo le barriere del conformismo, della diffidenza e della paura del nuovo. La sua fede nel progresso fu più forte del timore di vedersi schierare contro l’accademia quasi al completo, e non contento di esercitare la nuova chirurgia nel suo studio, ne divulgò la conoscenza offrendo corsi, inaugurando il suo congresso Videocataratta, e invitando a parteciparvi i più coraggiosi innovatori nel campo delle tecniche faco e dell’impianto di lenti: Charlie Kelman, Steven Shearing, Eric Arnott, Howard Gimbel, Howard Fine, Dick Lindstrom, Jim Little e tanti altri poi si susseguirono.
Alcuni colleghi lungimiranti gli si affiancarono, tra le reprimenda di gran parte degli anziani che prevedevano scenari apocalittici, di danni irreparabili alle cornee e di alte percentuali di cecità a breve, medio e lungo termine.
“Un importante cattedrattico disse durante un congresso a Genova che si sarebbe seduto sulla riva del Po ad aspettare che passassero tutti gli occhi ciechi di Buratto. Uno stimato primario del Veneto disse ad un suo paziente, da me operato, che non gli si rivolgesse per assisterlo quando fosse diventato cieco. Il professore all’università che mi ha dato la specialità, quasi mi insultò per la strada che avevo preso. Ma avevo dalla mia parte Frezzotti, Dal Fiume, Merlin e, più cauto ma aperto all’innovazione, Brancato,” ricorda Buratto.
L’editore di una rivista, dapprima entusiasticamente interessato a pubblicare un suo articolo sulla facoemusificazione e l’impianto di IOL, infine glielo respinse, scusandosi, “perché come azienda bisogna poi poter lavorare con tutti”. Buratto allora pubblicò da sé il suo primo libro sulle IOL, nel 1982, supportato dalle prime aziende produttrici di lenti intraoculari.
A distanza di qualche anno uscì il suo secondo libro sulla chirurgia della cataratta con impianto di lenti, un’opera di più di mille pagine a cui parteciparono Kelman, Sinskey, Stegman, Galand, Arnott, Kratz e quasi tutti i nomi importanti dell’oftalmologia internazionale.
Questo libro, in cui hanno contribuito quasi tutti i grandi della chirurgia internazionale, mise fine a ogni maldicenza e decretò finalmente l’accettazione della faco in Italia anche se i detrattori non smisero di ostacolare l’innovazione. D’altronde, gli innovatori sono sempre stati combattuti ed ostacolati.
Una stagione straordinaria
Non fu il solo, Lucio Buratto, a farsi strada tra molteplici resistenze. Lo stesso percorso dovettero compiere Thomas Neuhann in Germania, Bo Philipson in Svezia, e prima ancora Eric Arnott in Gran Bretagna. Richard Packard, che si trasferì per imparare da lui al Charing Cross Hospital, si vide togliere il saluto dai colleghi del Moorfields. Furono tuttavia proprio il comune anticonformismo e le comuni vicende avverse che portarono questi grandi innovatori, e i loro colleghi americani, ad unirsi con solidi legami professionali e di amicizia. Condivisero una stagione straordinaria, e la storia diede loro ragione.
Milano e Videocataratta divennero uno dei poli di aggregazione di questa avanguardia, e lì si rinnovò anno dopo anno l’occasione straordinaria, per tanti dei nuovi oculisti, di apprendere ‘in diretta’ dalle mani dei grandi, il progressivo evolversi di una delle più straordinarie rivoluzioni della chirurgia.
Nel 1991, con Matteo Piovella, Buratto fondò la Società Italiana di Facoemulsificazione, che si fuse poi con la Società Italiana di Oftalmochirurgia Refrattiva e con il Club del Cristallino Artificiale a formare l’AICCER. Fu lui stesso il primo presidente di queste società, a riconoscimento del ruolo fondamentale che aveva avuto nel rivoluzionare la chirurgia della cataratta.
A credere senza riserve, e da subito, alla dirompente novità che Lucio Buratto portava in Italia, furono i pazienti. Riempirono il suo studio fin dalle prime sedute e si moltiplicarono esponenzialmente dopo che comparve un minuscolo articolo da lui pubblicato su Oggi.
“Lo studio straripava, venivano con una fiducia e un entusiasmo tali che era difficile dire di no. Operavamo sette giorni su sette e in studio dovevamo chiudere la porta spesso alle dieci-undici di sera rimandando qualcuno al giorno successivo perché non ce la facevamo più. È stata un’avventura straordinaria, il cui ricordo ancora mi commuove” conclude Buratto.
Michela Cimberle