Al Congresso mondiale sul morbo di Parkinson (World Congress on Parkinson’s Disease and Related Disorders) svoltosi a Lione (Francia) dal 19 al 22 Agosto 2018, è stata presentata dai ricercatori della Keck School of Medicine della University of Southern California un’interessante ricerca che potrà avere notevoli risvolti per la diagnosi precoce del morbo di Parkinson, annunciata nello studio “Tear proteins as possible biomarkers for Parkinson’s disease”.
Parkinson: i sintomi della malattia
Il morbo di Parkinson consegue ad una perdita selettiva di quelle cellule della regione del mesencefalo (substantia nigra o sostanza nera di Sömmering) che sono deputate alla produzione della dopamina.
La degenerazione di questi neuroni dopaminergici è legata all’accumulo di alfa-sinucleina (α-Syn), proteina solubile normalmente presente nei tessuti nervosi, che può divenire tossica se forma aggregati proteici insolubili che prendono il nome di corpi di Lewy.
A causa dell’impoverimento cellulare della substantia nigra viene a mancare il rigido controllo da parte della via nigro-striatale sulla facilitazione del movimento e si determinano i caratteristici sintomi della malattia (rigidità, tremore, rallentamento dei movimenti e disturbo dell’andatura).
Nel paziente parkinsoniano, a causa di un progressivo danno anche a carico delle cellule dei nervi periferici, oltre al disordine del movimento sono presenti parallelamente alterazioni del sistema nervoso autonomo responsabile di vari sintomi vegetativi fra cui ipotensione ortostatica, seborrea, eccessiva sudorazione e secchezza degli occhi.
Poiché le cellule secretorie delle ghiandole lacrimali sono attivate da stimolazione nervosa, i ricercatori hanno ipotizzato che l’alterazione a carico dei nervi nel paziente parkinsoniano possa riflettersi in un alterato contenuto proteico delle lacrime
Alterazioni a livello lacrimale
Poiché le cellule secretorie delle ghiandole lacrimali sono attivate da stimolazione nervosa, i ricercatori hanno ipotizzato che l’alterazione a carico dei nervi nel paziente parkinsoniano possa riflettersi in un alterato contenuto proteico delle lacrime.
Il prof. Mark Lew, che ha diretto il team di ricerca, ha raccolto ed esaminato campioni di lacrime di 94 pazienti parkinsoniani e di 60 soggetti sani, omologati per sesso ed età.
E' stato riscontrato che nei soggetti parkinsoniani il livello totale di alfa-sinucleina normale, ossia non aggregata, era del 35% più basso rispetto ai controlli sani, mentre il quantitativo di aggregati tossici di α-Syn era quattro volte più alto dei controllo (3.43 nanogrammi/mg di proteina lacrimale rispetto a 0.84 nanogrammi). Parallelamente sono stati valutati i livelli di altre proteine potenzialmente pertinenti (CCL-2 a DJ-1), ma non sono state riscontrate significative differenze fra i due gruppi.
Sulla scorta di questi risultati, Lew ha pubblicizzato al recentissimo World Congress on Parkinson’s Disease and Related Disorders questo primo report sul potenziale diagnostico del dosaggio nella secrezione lacrimale del quantitativo totale di α-Syn e della sua forma oligomerica (ossia aggregata), come un’analisi non-invasiva, economica ed affidabile.
Qual è l’utilità pratica? Poiché il morbo di Parkinson solitamente inizia in modo impercettibile e progredisce gradatamente, all’inizio può essere difficile fare una diagnosi di malattia allo stadio precoce, poiché non esiste un test che identifichi chiaramente la malattia.
Questa scoperta di Lew e altri dispiegherà tutto il suo potenziale se diverrà indagine di routine da poter applicare quando cominciano a comparire sintomi iniziali ma non patognomonici del morbo di Parkinson, quali riduzione del senso dell’olfatto o minimi problemi di movimento o insolite alterazioni del comportamento e dell’umore.