Diabete e retinopatia: l’importanza della continuità nel percorso di cura
Professor Menchini, grazie a programmi di screening e trattamento adeguati è possibile ridurre sensibilmente la cecità legata al diabete. Quali sono le evidenze scientifiche più recenti emerse a tal proposito?
Le dimensioni socio-sanitarie del problema sono rilevanti: la prevalenza del diabete nei paesi industrializzati è stimata attualmente intorno al 5% con una tendenza evidente all’incremento. In Italia quindi ci sono circa 3 milioni di diabetici, e se, come risulta dai dati epidemiologici, approssimativamente il 40% di questi pazienti ha un qualche tipo di retinopatia, più di un milione di cittadini italiani andrebbero individuati ed eventualmente curati in tempo.
Purtroppo va evidenziato che in Europa sussiste una grande discrepanza in merito ai programmi di screening dei pazienti diabetici. Tale attività è molto ben avviata nel nord Europa, con punte d’eccellenza registrate in Islanda, dove, anche grazie ad una popolazione numericamente esigua, si riescono a monitorare tutti i diabetici in maniera accurata.
Nei paesi in cui tali programmi sono già stati applicati, va sottolineato che è stata ottenuta una sostanziale riduzione della cecità da diabete, accompagnata da importanti risparmi in termini economici.
Un corretto programma di screening prevede controlli periodici dei pazienti diabetici negli ambulatori di diabetologia mediante retinografo non midriatico anche in assenza dell’oculista, a cui vanno indirizzate le immagini per individuare l’eventuale presenza di condizioni patologiche su cui intervenire. Le evidenze cliniche hanno confermato che con i retinografi di ultima generazione si registra una percentuale di reperti non interpretabili al di sotto del 10%. Questa attività fa sì che si possa agire in maniera preventiva sulla patologia, limitandone la pericolosa progressione e quindi il potenziale rischio di cecità. In Italia un’attività di monitoraggio di questo tipo è stata recentemente effettuata sperimentalmente per due anni coinvolgendo 33 centri, sia di diabetologia che di oculistica per un totale di circa 20.000 pazienti, ed a breve è prevista la pubblicazione degli esiti (di questi pazienti il 16,7 % presentava una forma di retinopatia diabetica). Mi auguro che in futuro ci sia la reale volontà di istituzionalizzare tali azioni preventive, con programmi standard diffusi sul territorio, grazie ai quali sarà possibile intervenire per tempo sulle malattie oculari connesse al diabete, limitandone i danni e i relativi costi per il Sistema Sanitario Nazionale. Un programma nazionale di screening dovrebbe identificare tutti i cittadini a rischio e organizzare una procedura che consenta, realmente, di controllare i pazienti e richiamarli in relazione ai dati clinici riscontrati.
In tema di epidemiologia e fattori di rischio della retinopatia diabetica vi sono dei punti fermi, ormai conclamati. Sugli approcci terapeutici, invece, si registrano novità continue da parte della ricerca clinica. Di quali consapevolezze disponiamo al riguardo? Quali sono i trattamenti che garantiscono efficacia e sicurezza maggiori?
Studi epidemiologici condotti in varie aree geografiche concordano nell’indicare che le complicanze oculari del diabete rappresentano la più comune causa di cecità negli adulti in età lavorativa, in Italia come in altri paesi industrializzati.
Attualmente siamo consapevoli di quanto sia fondamentale, al fine di evitare l’insorgenza di complicanze a livello oculare, il controllo metabolico evidenziabile mediante l’emoglobina glicata (al di sotto di 7) unitamente al monitoraggio della pressione arteriosa. Un diabetico scompensato e iperteso, ricordiamolo, ha maggiori possibilità di sviluppare complicanze e si porterà dietro il potenziale rischio di un peggioramento anche negli anni a venire. Il controllo glicemico e quello dell’ipertensione arteriosa rimangono i più importanti fattori di rischio modificabili. E’ stato dimostrato che ottimizzare il controllo glicemico ritarda la comparsa e rallenta l’aggravarsi della retinopatia, sia nei pazienti con diabete tipo 1 che in quelli tipo 2. Inoltre, gli effetti di qualunque periodo di buon controllo metabolico sembrano persistere nel tempo grazie a un non meglio caratterizzato effetto di “memoria metabolica”. Compensare il diabete si ripercuote anche sulla terapia, perché una volta pensavamo che prima bisognasse controllare il diabete e poi intervenire con il laser o altri trattamenti, in realtà ora abbiamo capito che si deve intervenire appena ce n’è la necessità. Le novità da un punto di vista preventivo generale sono diverse: esistono delle molecole che potrebbero rivelarsi molto promettenti, anche se purtroppo i trial clinici prevedono follow-up molto più lunghi rispetto ad un medicinale normale. Anche per tale ragione non si registra uno stimolo all’investimento da parte dell’industria farmacologica, ma le aspettative ci sono tutte. Insostituibile, però, rimane il controllo da parte del diabetologo, monitoraggio che sovente, nonostante tutto l’impegno e la buona volontà possibile da parte dei professionisti e dei pazienti, non si riesce a portare avanti adeguatamente anche per la costante riduzione dei centri specialistici. Come accennato, bisognerebbe approntare programmi seri di screening per ovviare a tale problema, nonostante la perenne mancanza di fondi che coinvolge la sanità.
In tema di terapia farmacologica, quali sono gli accorgimenti da non sottovalutare mai?
Com’è noto le terapie si basano sui farmaci anti-VEGF e sui corticosteroidi iniettati per via intravitreale: per la loro capacità di bloccare direttamente o indirettamente i fenomeni di leakage capillare, queste molecole trovano attualmente impiego nel trattamento della maculopatia diabetica. Seppur con meccanismi di funzionamento differenti, queste due categorie di farmaci agiscono principalmente sulla permeabilità vascolare. I farmaci intravitreali vengono utilizzati da alcuni anni per il trattamento delle maggiori patologie vascolari retiniche. Gli steroidi quando si iniettano nel vitreo hanno una durata che va dai sei mesi ai 3 anni, ma presentano effetti collaterali importanti quali la cataratta e, in una percentuale non trascurabile, l’ipertensione oculare, che normalmente si può controllare farmacologicamente. Gli anti-VEGF, invece, danno minori effetti collaterali anche se sono stati sospettati di causare eventi avversi a livello cardiovascolare, complicanze queste che non sono mai state significative nei trial clinici effettuati (diversamente, gli steroidi non mostrano tali effetti sulla salute). Il problema degli anti-VEGF è senza dubbio l’emivita molto breve, intorno ai tre giorni. Il farmaco va somministrato per via intravitreale una volta al mese, ed in generale si effettuano almeno 4 iniezioni e poi si valuta come proseguire. Oltre che sull’edema maculare diabetico gli anti- VEGF agiscono favorevolmente anche sulla retinopatia proliferante. Si è aperta in tal modo una nuova strada. Sarà opportuno, però, stabilire il ruolo del laser in questi trattamenti. Rispetto alle molecole anti-VEGF, dirette a bersagliare selettivamente uno (o più) componenti della famiglia del VEGF, i corticosteroidi presentano uno spettro d’azione più ampio in quanto implicati in diversi processi biologici e con proprietà antinfiammatorie. A proposito di novità, sono allo studio dei delivery system ancora non disponibili che potrebbero portare ad un incremento della durata degli anti-VEGF (ad esempio si potrebbe effettuare un’iniezione ogni sei mesi anziché una al mese), il che sarebbe particolarmente auspicabile. Vista la frequenza con cui, attualmente, bisogna eseguire le iniezioni il problema risiede nell’organizzazione degli ambulatori, per seguire il paziente con le tempistiche adeguate al fine di un percorso terapeutico corretto ed efficace.
Qual è il ruolo del laser nel trattamento dell’edema diabetico?
Il laser, nonostante sia “insidiato” dalle terapie intravitreali, è ancora utile quando si devono effettuare trattamenti su pazienti con la retina di spessore al di sotto dei 400 micron (ci sono evidenze che dimostrano che al di sopra di tale soglia è preferibile attuare la terapia iniettiva). Il vantaggio del laser è che, a differenza della terapia farmacologica, si ottiene un trattamento con un’efficacia duratura, prolungata nel tempo, e questo è confermato da tutti i dati clinici.
Il trattamento laser, usato secondo i criteri ETDRS, ha alcuni limiti di cui il principale è che si creano lesioni irreversibili a carico dell’epitelio pigmentato retinico, le quali con il tempo possono allargarsi e confluire determinando esse stesse aree di atrofia nella regione maculare. Per questo motivo ora si sta iniziando ad impiegare il laser micropulsato, che pare avere la stessa efficacia del laser termico ma un minore rischio di effetti avversi. Purtroppo ancora non c’è una tecnica ben codificata perché ci si deve basare sugli spot di prova e poi decidere come proseguire, visto che l’assorbimento del micropulsato cambia notevolmente a seconda del paziente e del suo epitelio pigmentato. Il vantaggio di questo trattamento consiste nell’evitare le lesioni prima descritte in relazione al laser termico. Infine l’uso degli anti-VEGF viene considerato come adiuvante nella forma proliferante, particolarmente per la gestione dell’edema maculare che può complicare il trattamento laser panretinico (PRP), ma anche per ridurre i fenomeni emorragici o in preparazione alla vitrectomia, soprattutto se sia presente una neovascolarizzazione iridea. Recentemente sono stati resi pubblici i risultati inerenti all’uso degli anti-VEGF nella retinopatia diabetica proliferante: è emerso che la terapia iniettiva è più efficace di quella laser. I punti deboli possono, però, identificarsi nella transitorietà della efficacia, oltre che nei costi e nei problemi organizzativi. Attualmente nella proliferante il laser è ancora il gold standard, anche se è auspicabile ridurre i danni funzionali arrecati alla retina periferica.
Edema maculare diabetico: vuole farci una panoramica dettagliata sulle raccomandazioni per un corretto percorso di cura?
In presenza di un edema limitato il laser può avere ancora la sua rilevanza, ma quando c’è un coinvolgimento centrale con un ispessimento retinico importante è fondamentale procedere con almeno 4 iniezioni. Si comincia normalmente con gli anti-VEGF, e si deve continuare con la terapia iniettiva fino a quando si registra un miglioramento dello spessore e della funzione visiva, giungendo alla stabilizzazione del risultato. In questo caso può essere utile un trattamento laser tardivo. Se invece non c’è una risposta si passa al cortisone che ha un diverso punto di attacco. Ad esempio il fluocinolone, che si impiega in questi casi, ha una durata terapeutica di 3 anni, ma deve essere preferibilmente utilizzato in pazienti pseudo fachici, perché con molta probabilità può portare a cataratta e ipertensione oculare. Infine, voglio ribadire ancora una volta che il problema principale sarà quello di garantire a tutti i diabetici che hanno l’edema maculare, e in futuro probabilmente anche la proliferante, l’accesso alle cure e che queste vengano fatte con la frequenza necessaria, perché se si fa un’iniezione in maniera sporadica questa non servirà a nulla: semplicemente perdiamo tempo e buttiamo via i soldi senza alcun esito.