Definizione
La cataratta è una alterazione della qualità ottica e della composizione del cristallino che influisce sulla visione. Lo sviluppo della cataratta è di norma correlato all’invecchiamento e può verificarsi in uno o in entrambi gli occhi.
L’indicazione primaria per la chirurgia della cataratta è la funzione visiva che non soddisfa più le esigenze del paziente e per la quale la chirurgia della cataratta fornisca una ragionevole probabilità di miglioramento della visione. La chirurgia può essere motivata anche nei casi in cui l’eliminazione del cristallino consenta un miglior controllo di altre patologie oculari e una riduzione del rischio di ulteriori complicanze (tab. 1).
Altre indicazioni per la rimozione della cataratta sono le seguenti |
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Anisometropia clinicamente significativa in presenza di una cataratta |
Opacità della lente che interferisce con la diagnosi o la gestione ottimale del segmento posteriore |
Un cristallino che causa un’infiammazione o un glaucoma secondario (facolitico o facoanafilattico) |
Un cristallino che induce o fa rischiare la chiusura dell’angolo |
Cristallino lussato spontaneamente o a seguito di traumi |
Presenza di pseudoesfoliatio avanzata e scompenso tonometrico |
L'intervento maggiormente eseguito nelle sale operatorie d’Italia è quello appunto della cataratta; in quanto a consistenza numerica, senz'altro per difetto e risalente a qualche anno fa, era approssimativamente ritenuta pari a 550-600.000 casi all’anno, ma se in questo volume di attività chirurgica si aggiunge l'estrazione del cristallino per finalità esclusivamente refrattive, ecco che quei numeri aumentano considerevolmente.
Un intervento dunque seriale, routinario, che solo apparentemente sembrerebbe banale, ma tale non è e che ha una percentuale di successo elevatissima (oltre il 90%).
L'ambulatorialità della prestazione, la rapidità con cui, beninteso con le debite eccezioni, viene svolto, la immediatezza della ripresa funzionale hanno alimentato, unitamente a certa propaganda, l’opinione che questo intervento sia “simile a una estrazione dentaria” e che sia scontato nel risultato; eppure non è proprio così, considerato che il contenzioso di maggiore rilevanza in ambito oculistico riguarda proprio l'intervento di cataratta nella gestione pre peri e post-operatoria.
Eppure, la velocizzazione dell'atto chirurgico, la semplificazione delle procedure, lo snellimento dei passaggi comportano a monte una serie di valutazioni determinanti ai fini della buona riuscita dell'intervento.
Vengono, in pratica, effettuate in maniera concentrata una serie di passaggi che anni orsono richiedevano giorni e per giunta la permanenza del paziente in ospedale per alcuni giorni.
Nella definizione dell’esistenza di eventuali profili di responsabilità, l’attenzione dell’oftalmologo legale o dell’oculista e del medico legale si concentra sull’iter clinico che è stato prima, durante e dopo l’intervento di cataratta.
Quali sono dunque questi passaggi che devono tassativamente essere rispettati prima, durante e dopo che è stato effettuato l’intervento?
1. Anamnesi generale
Anamnesi generale previa acquisizione di un resoconto storico del medico di base cosiddetto “certificato anamnestico” fin quando non sarà operativo il Fascicolo Sanitario Elettronico acquisibile tramite la tessera sanitaria.
Ciò consentirà di definire grossolanamente, meglio se in collaborazione con l'anestesista, le eventuali problematiche del paziente da operare. Quindi la conoscenza del paziente da un punto di vista generale permetterà all'anestesista, che secondo l'attuale normativa non dovrebbe essere dedicato in maniera esclusiva all'oculistica, di intervenire qualora malauguratamente si dovesse rendere necessario (non alla stregua del soccorso che potrebbe prestare a un soggetto incidentato sulla strada).
Di certo le ultime due classi riportate in tabella 2 difficilmente riguardano l’attività chirurgica dell’oculista.
Classe | Condizioni del paziente |
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ASA I | Paziente sano |
ASA II | Presenza di una lieve malattia sistematica senza nessuna limitazione funzionale |
Limitazione funzionale | |
Bronchite cronica | |
Obesità moderata | |
Diabete ben controllato | |
Infarto miocardico di vecchia data | |
Ipertensione moderata | |
ASA III | Presenza di una malattia sistemica grace con limitazione funzionale di grado moderato |
Angina pectoris ben controllata dalla terapia | |
Diabete insulinodipendente | |
Obesità patologica | |
Insufficienza respiratoria moderata | |
ASA IV | Presenza di una malattia sistemica grave che costituisce un pericolo costante di sopravvivenza |
Insufficienza cardiaca severa | |
Angina pectoris "instabile" poco sensibile al trattamento | |
Insufficienza respiratoria, renale, epatica od endocrina di grado avanzato | |
ASA V | Paziente moribondo, la cui sopravvivenza non è garantita per 24 ore, con o senza l'intervento chirurgico come nel caso shock da rottura di aneurisma |
Politraumatizzato grave |
Tra le patologie da prendere in considerazione ai fini dell’intervento di cataratta vi sono:
ipertensione arteriosa, alterazioni della coagulazione ematica, diabete, depressione del sistema immunitario, patologie neurologiche che possono ridurre la serenità e la collaborazione del paziente, patologie dell’apparato scheletrico e obesità che possono rendere difficoltoso il posizionamento del paziente sul lettino, morbo di Parkinson, tremori incontrollabili, dispnea e altre.
Vanno inoltre valutate anche in rapporto al tipo di anestesia da adottare tra anestesia locale (topica o infiltrativa) e generale, e se del caso somministrando sedativi per via generale in base alle condizioni fisiche e mentali del paziente e definita in base alle necessità e preferenze del paziente, del chirurgo e dell’anestesista.
Non va trascurato inoltre il rischio endoftalmite, tenuto conto che le infezioni ospedaliere, ossia le “infezioni che insorgono durante il ricovero in ospedale o in alcuni casi dopo che il paziente è stato dimesso e che non erano manifeste clinicamente né in incubazione al momento dell’ammissione”, possono entrare nel campo d’interesse medico-legale quando vengano attribuite a responsabilità professionale.
Ciò, per quanto bassa sia l’incidenza della endoftalmite dopo intervento di cataratta (0,01-0,03%), porta a considerare l'altro punto e cioè quello relativo alla profilassi antibiotica perioperatoria che è perfettamente inutile, non è indicata negli interventi di chirurgia pulita, di breve durata e in pazienti non a rischio.
Ma va considerato che l’insorgenza di una infezione dopo l'intervento chirurgico dipende da una complessa interazione tra:
- fattori del paziente, quali età estreme, stato immunitario, stato nutrizionale e la presenza o assenza di diabete (torna utile la classificazione ASA), obesità grave o malnutrizione, presenza di una infezione remota o recente al momento dell'intervento;
- terapie praticate (ad es. corticosteroidea, chemioterapica concomitante o recente);
- complessità prevedibile e durata dell’intervento per insorgenza di complicanze. Ciò è attribuibile a diversi fattori quali aumento della probabilità di contaminazione della ferita operatoria, maggiore traumatizzazione della ferita, soppressione delle difese sistemiche, minore concentrazione dell'équipe chirurgica a causa della fatica fisica.
2. Anamnesi specialistica
Vanno acquisite tutte le informazioni relative allo stato patologico remoto e a quello prossimo del paziente: di quanto vedeva, di quando ha messo i primi occhiali, se la vista era uguale in entrambi gli occhi o piuttosto il contrario, le terapie praticate, se aveva riportato traumi, il tipo di attività lavorativa e non che svolgeva.
Esame obiettivo:
- descrivere dettagliatamente lo stato anatomico dell’apparato visivo ponendo particolare attenzione a tutti gli elementi che possano avere rilevanza ai fini della chirurgia e in particolare: presenza di patologie oculari associate alla cataratta, dilatabilità della pupilla, esplorabilità delle strutture posteriori al cristallino;
- registrare il visus per lontano e per vicino con la miglior correzione ottica;
- biometria;
- microscopia confocale;
- OCT (se ritenuta utile);
- selezione della IOL in base alle esigenze del paziente e allo stato rifrattivo dell’occhio controlaterale.
Va tenuto di conto che vi sono condizioni che potrebbero rendere più complicato l’atto chirurgico, alcune di queste sono:
occhio infossato, opacità della cornea, camera anteriore bassa, scarsa midriasi, sublussazione del cristallino, esiti di precedenti procedure chirurgiche o laser, esiti di traumi oculari, anamnesi positiva per traumi oculari anche senza evidenti alterazioni della statica lenticolare, miopia o ipermetropia elevata, glaucoma anche in fase di compenso pressorio, rialzo della pressione oculare dopo instillazione del midriatico, cornea guttata con alterazioni dell’endotelio corneale, IFIS (sindrome dell’iride a bandiera) causata da farmaci per la cura dell’ipertrofia prostatica, sindrome pseudo-esfoliativa, cataratta molto avanzata.
Risulta di estrema importanza che il paziente sia reso edotto delle responsabilità assunte dal chirurgo, mediante l’informativa resa inizialmente e il consenso acquisito successivamente.
L’intervento di cataratta viene eseguito in un occhio per volta anche quando la patologia è bilaterale.
La presenza di particolari condizioni sistemiche od oculari nonché le esigenze visive del paziente possono rendere utile l’intervento in entrambi gli occhi nella stessa seduta chirurgica (da LINEE GUIDA CLINICO-ORGANIZZATIVE SULLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA della Società Oftalmologica Italiana in coll. con l’AICCER – Associazione Italiana Chirurgia della Cataratta e Refrattiva - Aggiornate ottobre 2016).
I profili di una eventuale responsabilità professionale vengono dalla clinica, conseguentemente, la colpa giuridicamente intesa viene definita dalla condotta della equipe e/o del singolo sanitario da quel “chi, cosa e perché” che è stato determinante nel realizzarsi dell’evento avverso.
Essenziale, dunque, risulta essere la valutazione, lo studio clinico preoperatorio e con esso la prevedibilità e prevenibilità di quel determinato incidente di percorso verificatosi intraoperatoriamente.
La fonte di informazione è data pertanto dall’iter che il paziente ha compiuto prima, durante e dopo un intervento chirurgico, come registrato su scheda o cartella clinica che sia.
La cartella clinica/scheda è di fondamentale importanza e deve riportare in maniera chiara e leggibile per chiunque la legga: chi, che cosa, come, quando e perché (who, what, how, when, why).
Un rapporto medico completo e accurato è la migliore difesa del medico contro una denuncia per negligenza.
Completezza, obiettività, coerenza e accuratezza sono quattro componenti di una buona cartella clinica. I documenti scadenti fanno sembrare cattivo il buono, la cattiva cura la fa sembrare peggiore e può rendere un caso indifendibile (da Gay P. Kraus: Assistenza sanitaria e gestione del rischio).
La cartella clinica è fondamentale in un contenzioso giudiziale per dimostrare la correttezza della condotta di un medico, o più genericamente della equipe, nei riguardi un paziente e della sua malattia, oltre che per motivare la consequenzialità di certe indagini o di determinate scelte terapeutiche e non.
Costituisce, inoltre, la prova documentale che l’azione posta in essere è corretta.
Rappresenta, metaforicamente, lo specchio della responsabilità della struttura e dell’equipe nel corso di un ricovero.
Per gestione post-operatoria s’intende il controllo del paziente nel periodo compreso tra la conclusione dell’intervento chirurgico e la sua dimissione, intendendo come dimissione l’uscita dal centro chirurgico. In dettaglio questo periodo si articola nelle seguenti fasi:
a) controllo delle condizioni generali del paziente al termine dell’intervento da parte del medico anestesista;
b) verifica dell’assenza di segni e sintomi dovuti all’anestesia da parte del medico anestesista;
c) è preferibile la presa in carico del paziente da parte di un accompagnatore affidabile;
d) consegna al paziente, anche per iscritto (meglio se alla presenza dell’accompagnatore) di istruzioni dettagliate sulla terapia e i controlli post-operatori;
e) consegna al paziente, anche per iscritto, di istruzioni dettagliate sui segni e i sintomi cui deve prestare attenzione nelle ore successive all’intervento al fine di ricorrere tempestivamente alle cure del caso;
f) consegna al paziente di istruzioni dettagliate su come mettersi in contatto con la struttura oculistica in caso di necessità;
g) consegna al paziente di lettera di dimissione, in cui siano riportate le informazioni rilevanti su intervento chirurgico eseguito, eventuali complicanze di rilievo, terapia post-operatoria istituita, programmazione del follow-up. Le fasi ai punti d, e, f, g, possono essere operativamente realizzate anche da personale infermieristico adeguatamente formato. Prima di lasciare il luogo di cura il paziente deve essere controllato da un medico oculista che verifichi il regolare decorso post-operatorio.
(da LINEE GUIDA CLINICO-ORGANIZZATIVE SULLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA della Società Oftalmologica Italiana in coll. con l’AICCER – Associazione Italiana Chirurgia della Cataratta e Refrattiva - Aggiornate ottobre 2016).
E tanto più elevato è il requisito funzionale di partenza tanto maggiore sarà la responsabilità che si assume l'oculista nel momento in cui interviene chirurgicamente, specie se trattasi di chirurgia del cristallino per finalità refrattive.
Sussistono alcune considerazioni che l'oculista deve fare, qualora lavori in tandem con il medico legale, prima di definire un caso di responsabilità se si verifica una complicanza come la rottura della capsula posteriore e il risultato non è rispondente alle attese.
Il cristallino ha uno spessore di 4 mm e un diametro di 10mm. La capsula del cristallino nella sua parte posteriore è spessa 0,4mm, cioè circa 15 volte meno di un capello (spessore medio 80 mm). Lo spazio a disposizione del chirurgo per eseguire l’intervento è al massimo 3 mm, senza considerare l’iride che, quando è dilatata, riduce ulteriormente lo spazio a disposizione del chirurgo.
Il chirurgo lavora avvalendosi di un microscopio che ingrandisce le strutture oculari da 10 a 25 volte. Ciò significa che quando il chirurgo esegue un movimento di 1 mm lo vedrà come uno spostamento di 2,5 mm! Si aggiunga che il chirurgo deve avere una visione binoculare, essere ambidestro, essere in grado di agire sulle due pedaliere, una che regola in continuo il funzionamento del facoemulsificatore e l’altra il microscopio operatorio per la messa a fuoco e per seguire i movimenti.
Quanto fin qui descritto dà la misura del perché sia tutt'altro che banale l'intervento di estrazione del cristallino, catarattoso o non, tanto per chi lo esegue quanto per chi lo deve affrontare, e fondamentali, in tutto questo percorso, sono la consapevolezza e la susseguente condivisione da parte del paziente.