La figura del consulente tecnico di ufficio, termine che nella prassi giudiziaria viene più brevemente indicato come C.T.U., svolge la funzione di ausiliario del giudice e trova la sua regolamentazione nel codice di procedura civile, in particolare, in quanto enunciato negli articoli 61 - 64 e 194 c.p.c.
Secondo qualificata dottrina, il consulente tecnico è definito come un esperto ausiliario del giudice, il quale se ne può avvalere quando è chiamato a valutare e a giudicare in materie per cui sono espressamente necessarie cognizioni tecniche particolari, che vanno al di fuori dalla competenza giuridica.
La consulenza tecnica d'ufficio svolge la particolare funzione di coadiuvare il giudice, dopo che questi, nell’istruttoria della causa assegnatagli, ha già acquisito elementi che non rientrano tra le sue competenze, al fine di ottenere una conoscenza qualificata, indispensabile per una successiva pronunzia giurisprudenziale.
È opportuno precisare che nel processo civile la consulenza, fornita su espresso incarico del giudicante, non costituisce un reale mezzo di prova: consente, piuttosto, all’autorità giudiziaria di interpretare correttamente situazioni che, per essere correttamente valutate, richiedono specifiche competenze, avulse da una preparazione squisitamente giuridica. Il potere di nominare un C.T.U. compete esclusivamente al giudice, il quale può agire sia di propria iniziativa che a seguito della sollecitazione di una o di tutte le parti in causa. Dopo aver esaminato l’elaborato peritale consegnatogli, il giudice può fare sua l'interpretazione del consulente, pur senza essere tenuto a motivare esplicitamente in sentenza una tale adesione. Non bisogna però dimenticare che all’espletamento delle attività peritali partecipano anche i consulenti nominati all’uopo dalle parti in causa, i quali, letta poi la relazione formalizzata dal C.T.U., hanno la facoltà di formulare specifiche critiche in merito al suo contenuto. Critiche, queste ultime, che il giudice è tenuto a valutare e sulle quali, qualora le ritenga attendibili, può basare la propria decisione, giungendo quindi a conclusioni contrastanti con quelle indicate dal C.T.U. Il giudice ha la facoltà di conferire al C.T.U. anche l’incarico di formulare ulteriori valutazioni attinenti a quanto dallo stesso consulente in precedenza accertato. È bene però precisare che al C.T.U. è fatto espresso divieto di indagare in autonomia su fatti che le parti in causa non hanno esplicitato nel corso del giudizio. Se poi il C.T.U. ritiene necessaria l’acquisizione di ulteriore documentazione, utile al fine di una corretta valutazione in relazione al quesito richiestogli e la cui acquisizione non era stata preventivamente autorizzata, deve rivolgersi al giudice che gli ha conferito l’incarico peritale. Secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione, il C.T.U., nella gestione dell'indagine peritale, non può mai privare una o più parti del diritto di difesa, e ciò a tutela del principio costituzionale del contradditorio. Il perito deve, quindi, prestare sempre ascolto alle eventuali richieste dei consulenti delle parti in causa: qualora non le ritenesse congrue ed esaudibili, deve darne atto nella relazione peritale. Passando, infine, alla determinazione del compenso del C.T.U., si deve precisare che il giudice, generalmente, aderisce alla richiesta del consulente se la stessa viene ritenuta confacente alla qualità e alla quantità dell'attività da espletare in relazione al concreto tenore dei quesiti proposti e delle risposte fornite. Il decreto emesso dal giudice, che liquida le competenze del consulente, costituisce titolo provvisoriamente esecutivo e assume definitiva validità ed efficacia in assenza di opposizione, presentabile dalla parte tenuta a onorare il compenso, nel termine di trenta giorni a decorrere dal momento in cui le viene notificato il provvedimento. Sulla scelta del consulente tecnico, il giudice gode della massima discrezionalità, ma le parti del processo possono far valere, mediante istanza di ricusazione, eventuali dubbi in merito all’obiettività e all’imparzialità del consulente stesso.
Vi è comunque, da parte del C.T.U., l’obbligo di astenersi nel caso in cui abbia in precedenza prestato assistenza in tale veste, in altro grado dello stesso processo, in quanto si può ritenere che si venga a creare una situazione di oggettiva parzialità. Ovviamente, il C.T.U. deve espletare il mandato con la dovuta diligenza e, qualora il suo operato sia caratterizzato da un’imperizia grave al punto da inficiare sensibilmente l'esecuzione degli atti che gli sono richiesti, può essere chiamato a risponderne in sede giudiziaria.
Il CTU, una volta nominato, ha il preciso dovere di presentarsi innanzi al giudice che lo ha designato all’udienza fissata per il giuramento. Eventuali impedimenti, se noti o prevedibili, dovranno essere comunicati con largo anticipo, in modo da potere consentire il differimento dell’udienza. Il CTU quando viene nominato assume la funzione di pubblico ufficiale ai sensi di quanto previsto dall’art. 357 del codice penale e il suo ruolo funzionale è qualificabile come ausiliario del giudice. Se pertanto non adempie fedelmente al suo incarico, come per esempio favorendo indebitamente una delle parti in causa, può essere chiamato a rispondere innanzi al giudice penale per i reati di peculato, di corruzione o di concussione.
In ogni caso può sempre poi incorrere nel reato di falsa perizia (art. 373 codice penale), qualora nel contesto di accertamenti valutativi produca un elaborato mendace che affermi fatti o valutazioni non conformi al vero.
La consulenza tecnica d'ufficio svolge la particolare funzione di coadiuvare il giudice, dopo che questi, nell’istruttoria della causa assegnatagli, ha già acquisito elementi che non rientrano tra le sue competenze, al fine di ottenere una conoscenza qualificata, indispensabile per una successiva pronunzia giurisprudenziale.