Ai pazienti, di per sé, la lacrimazione sembra essere un fattore ordinario, ma sottovalutare l'importanza delle lacrime non consente di mettere in luce l’enorme complessità della loro composizione, struttura, funzione e di come esse interagiscano con il sistema della superficie oculare, in modo da rendere la superficie refrattiva regolare e stabile al di sopra della superficie corneale - a sua volta relativamente irregolare -, e di quanto una perdita di tale equilibrio sia disturbante.
I pazienti, infatti, diventano consapevoli dell’importanza di un equilibrio della superficie oculare solo quando avvertono i fastidi legati al cosiddetto «occhio secco» oppure cominciano a percepire una visione transitoriamente disturbata e limitata. In realtà, il termine «occhio secco» rimane di uso comune, nonostante rappresenti oggi solo una scarna descrizione della malattia, valida per una minore percentuale di casi. Nell’evoluzione storica, la malattia dell'occhio secco (dry eye disease - DED) è stata addebitata a insufficiente produzione oppure a compromissione della stabilità delle lacrime.
Vi è ora, invece, evidenza che qualsiasi anormalità della superficie oculare può scatenare lo squilibrio in tutti gli altri componenti della dinamica lacrimale, per cui si parla di ocular surface disease – OSD. La dinamica lacrimale, infatti, dipende da complesse interazioni tra ambiente, palpebre, film lacrimale, congiuntiva e cornea e vi sono molteplici manifestazioni di OSD, sia da deficit acquoso che da eccesso evaporativo.
Ocular surface disease
Man mano che è aumentata la comprensione della patofisiologia della OSD, si è capito come questa malattia sia complessa e spesso multifattoriale, tanto che, a testimonianza del ruolo del sistema nervoso nella patofisiologia della OSD, film lacrimale, ghiandole lacrimali, epitelio corneale e congiuntivale, ghiandole di Meibomio e rete neurale lavorano insieme come unità funzionale lacrimale integrata (LFU). Ultimamente, poi, è stato dimostrato come altri componenti, quali cellule immunitarie, cellule della matrice, ormoni e persino il microbioma, siano in grado di regolare l'omeostasi della superficie oculare. Tutti questi tessuti interagiscono insieme per formare il microambiente della superficie oculare (OSM). È stata anche avanzata l’ipotesi secondo cui l'OSD sia una malattia autoimmune localizzata, originata da uno squilibrio nelle vie immuno-regolatorie e pro-infiammatorie protettive della superficie oculare, per cui nella OSD l'OSM subisce un danno dell'immuno-omeostasi, con conseguente infiammazione cronica.
La OSD è una condizione comune tra le popolazioni nel mondo, con una prevalenza variamente descritta fino al 75% e con aumento in base all’età e al sesso. Pur tuttavia, la disfunzione lacrimale rimane un problema sottodiagnosticato e sottostimato, nonostante se ne senta parlare sempre e a tutti I livelli. In generale, i pazienti con OSD possono manifestare disturbi oculari quali: irritazione, arrossamento, bruciore/prurito, occhi infastiditi, sensazione di corpo estraneo o “sabbia”, visione offuscata tra gli ammiccamenti, lacrimazione, intolleranza alle lenti a contatto, aumento della frequenza di ammiccamento, secrezione mucosa, fotofobia, eccetera. I sintomi peggiorano, tipicamente, in ambienti ventosi, polverosi o fumosi, con aria condizionata, man mano nell’arco della giornata, dopo prolungata lettura o uso di computer. Pertanto, la OSD può alterare (anche pesantemente) la qualità della vita.
È per tutto questo che la OSD è e deve essere considerata fondamentale nella nostra pratica clinica ed i criteri di valutazione clinica della OSD essere noti e applicati, ricordando che il disturbo non è presente solo in pazienti sintomatici e che non esiste una relazione coerente tra segni clinici comuni e sintomi. Infatti, spesso i pazienti con DED/OSD presentano una vera e propria forma di disestesia, per la quale la sintomatologia ed i disturbi riferiti risultano assolutamente incompatibili con i segni clinici verificati.
Questo comportamento evidenzia sia la partecipazione emotiva “esasperata” legata alla compromissione della qualità della vita da DED, sia il ruolo importante della componente nervosa della superficie oculare nella patogenesi della sindrome da occhio secco.
Anche per questo, di recente sono stati individuati tre gruppi di pazienti con OSD (1): pattern I con aspetti transitori e reversibili di infiammazione subclinica, possibili alterazioni epiteliali e occasionali alterazioni della vista; pattern II con aspetti ricorrenti caratterizzati da ridotta capacità di riequilibrare la superficie oculare, sintomi frequenti e alterazioni della vista con infiammazione clinicamente evidente, e chiara evidenza di alterazioni epiteliali; pattern III su base cronica con incapacità di riequilibrare la superficie oculare e accompagnata da infiammazione clinicamente evidente e cronica, alterazioni epiteliali persistenti e frequenti alterazioni della qualità della vista.
Diagnosi e trattamento OSD
Negli approcci più recentemente proposti per la diagnosi ed il trattamento dell’OSD, diversi algoritmi sono stati introdotti ed altri sono in arrivo. Nonostante ciascuno di essi sia tecnicamente unico, ci sono perlomeno cinque criteri comuni che devono essere rispettati: eseguire un’accurata anamnesi, determinare i sintomi, esaminare i segni, classificare il sottotipo primario di OSD, trattare il paziente sulla base dei precedenti fattori. Per l’anamnesi, nelle tabelle 1 e 2 sono riportate alcune situazioni «storiche» che causano DED e i fattori di rischio noti o sospettati.
Per quanto riguarda la determinazione della presenza o meno di sintomi e la diagnostica di OSD gli algoritmi più interessanti sono: l’International Dry Eye WorkShop II (DEWS II) (2) (questionario validato OSDI, valutazione con tempo di rottura lacrimale o BUT, colorazione della superficie oculare con fluoresceina e verde lissamina, determinazione dell'osmolarità del film lacrimale, al fine di categorizzare i pazienti in gruppi: asintomatici senza segni, asintomatici con segni, sintomatici senza segni, sintomatici con segni); il Dysfunctional Tear Syndrome Panel (3) (valutazione mediante Schirmer test, BUT, menisco lacrimale, colorazione con fluoresceina e lissamina, studio delle ghiandole di Meibomio, di eventuali segni di malposizionamento o disfunzione palpebrale); l’ASCRS Preoperative Algorithm (4) (questionario di autovalutazione SPEED II test, esami di screening quali osmolarità e studio dei marker dell’infiammazione MMP-9 - purtroppo entrambi relativamente costosi; se indicato si prosegue con esami non invasivi di esame clinico - Look, Lift, Pull, Push, Stain, per cui Look include la valutazione dell’ammiccamento, delle palpebre, delle ciglia e della superficie interpalpebrale; Lift comporta il sollevare ed eventualmente evertere la palpebra superiore per l’esame della superficie e del fornice superiore; Pull valuta la presenza di perdita di elasticità palpebrale e la situazione del fornice inferiore; Push comporta l’espressione dell’eventuale secreto dai dotti delle ghiandole di Meibomio mediante spremitura in senso verticale sui bordi palpebrali; Stain rappresenta la colorazione con fluoresceina o verde di lissamina di congiuntiva e cornea, anche per uno studio del BUT -); le raccomandazioni del P.I.C.A.S.S.O. Italian Group (5) (questionario di autovalutazione SMART Test, metodo diagnostico in tre passaggi 1) identificazione di aspetti anamnestici, sintomi e segni clinici; 2) colorazione della superficie oculare ed identificazione di BUT alterato e/o segni di danno epiteliale; 3) valutazione della sensibilità corneale e della clearance lacrimale). Riteniamo che quest’ultimo possa essere il più semplice nell’applicazione della quotidiana pratica clinica ambulatoriale.
Per quanto riguarda il trattamento della OSD, il P.I.C.A.S.S.O. Italian Group ha recentissimamente (6) riproposto la cosiddetta terapia 3+2: a) correzione dei tre cardini delle caratteristiche del DED: alterazione del film lacrimale, sofferenza dell’epitelio, infiammazione; b) riduzione dell’instabilità della superficie oculare, mediante igiene palpebrale e terapia che in qualche modo agisca sull’innervazione oculare. Viene stressata anche l’esigenza di un “patient counselling” e di un accurato follow-up. Nondimeno, già nel 2017 è stata ipotizzata una terapia mirata al microambiente della superficie oculare per DED e OSD (7).
Ruolo dello specialista ambulatoriale
Proprio per quanto suesposto, il Gruppo Oculisti Ambulatoriali Liberi (GOAL) è sempre stato propenso a proporre la OSD nel real life dell’attività ambulatoriale e, poiché una delle mission di GOAL è l’integrazione ospedale-territorio, in questa occasione vogliamo stimolare una sinergia tra oculistica ambulatoriale e ospedaliera per un’attività diagnostica propedeutica ad una pratica ospedaliera routinaria: l’intervento di cataratta.
In effetti, una quota della popolazione di pazienti che, in genere, non viene specificamente studiata per la presenza o meno di OSD è quella indirizzata alla chirurgia della cataratta. Lo specialista ambulatoriale potrebbe proporsi fattivamente come valutatore territoriale propedeutico ad una delle possibili complicanze dell’intervento di cataratta, causa di insoddisfazione del paziente dopo chirurgia della cataratta nonostante una visione raggiunta di 10/10. Molti dei sintomi oculari post intervento di cataratta, infatti, sono sotto forma di irritazione oculare, bruciore e visione offuscata, proprio come nella OSD.
Da vari studi (8) sappiamo come già preoperatoriamente sono presenti situazioni di OSD, DED o di disfunzione delle ghiandole di Meibomio anche asintomatiche. Una superficie oculare compromessa influisce negativamente sulla pianificazione preoperatoria per la chirurgia della cataratta, compresi la cheratometria e le misurazioni topografiche, i calcoli della IOL, la valutazione di asse e magnitudo della IOL torica. Postoperatoriamente, poi, è ben dimostrato come la chirurgia della cataratta peggiori i parametri della superficie oculare o aggravi una preesistente OSD: a) l’ocular surface disease index, la colorazione corneale fluorescinica ed il T-BUT peggiorano tutti nel mese successivo all’intervento; b) l’87% dei pazienti con OSD diviene sintomatico dopo la chirurgia, con metà di essi che mostrano sofferenza corneale, con sintomi che insorgono già in prima giornata, raggiungono l'apice dopo un mese, e poi possono diminuire nel tempo; c) si osserva, specie dopo un mese dall’intervento, una riduzione della secrezione meibomiana ed un incremento dell’ostruzione dei dotti meibomiani, assieme alla formazione di teleangectasie sul bordo palpebrale, tutti segni che non si risolvono nemmeno 3 mesi dopo l’intervento di cataratta. L'eziologia, come in tutti casi di OSD, è multifattoriale ed è correlata all'estensione dell'incisione, al tempo di intervento, all'irrigazione, all’esposizione alla luce del microscopio, all’utilizzo della disinfezione con iodopovidone 5%, all'uso di colliri postoperatori. Inoltre, pare che la facoemulsificazione modifichi la funzione delle ghiandole di Meibomio e la suzione utilizzata nella chirurgia della cataratta femto-assistita possa aumentare il rischio di OSD.
Pertanto, è chiaro come la presenza di una superficie oculare adeguata prima dell'intervento di cataratta sia cruciale per il comfort postoperatorio del paziente, influisca positivamente sull’accuratezza del calcolo della IOL e sulla funzionalità visiva postoperatoria. Una non attenzione preoperatoria alla possibile OSD può presentare possibili implicazioni medico-legali. Per questo l’American Academy of Ophthalmology dal 2018 raccomanda che “tutti i pazienti da sottoporre a chirurgia della cataratta devono essere valutati e gestiti per l'occhio secco prima dell'intervento” e in Francia ad ottobre 2019 è stato pubblicato un articolo che propone delle pratiche cliniche di utilizzo quotidiano per il trattamento della malattia dell’occhio secco al fine di “ottimizzare i risultati dell’intervento di cataratta” (9).
Se gli oculisti, quindi, preoperatoriamente identificassero, trattassero ed educassero i pazienti con OSD o con possibile OSD postoperatorio, gli stessi capirebbero che i sintomi che eventualmente insorgono dopo l’intervento sono in realtà legati ad una malattia preesistente e non si lamenterebbero di una cattiva riuscita dell’intervento. Inoltre, la chirurgia della cataratta dovrebbe essere ritardata nei pazienti a rischio di significative riacutizzazioni di OSD postoperatorio, perlomeno fino a quando la superficie oculare non sia stata gestita con sufficiente efficacia.
Per tutto quanto discusso finora, quindi, l’oculista territoriale, che decide di inviare un paziente ad intervento di cataratta, deve essere messo nelle condizioni, chiaramente anche strumentali, di poter rivedere e valutare il paziente prima dell’intervento stesso per cercare di riconoscere in modo preventivo i pazienti con cataratta e fattori prognostici sfavorevoli e/o con OSD esistente e poter prescrivere loro tempestivamente terapie adeguate prima dell’intervento. Nelle codifiche ICD-CM per le prescrizioni, accanto alla visita di controllo, si potrebbe utilizzare la specifica: “09.19_0 Analisi della superficie oculare (test di Schirmer, Break Up Time BUT, esame con coloranti)”.
Un aiuto fattivo all’introduzione di questo percorso diagnostico terapeutico (PDT) specifico per i soggetti candidati ad intervento di cataratta dovrebbe giungere proprio dalle strutture ospedaliere ed universitarie, che, per limitazioni temporali ed organizzative nelle loro procedure di preparazione all’intervento vero e proprio (iter preoperatorio), non possono prendersi carico di tali prestazioni. La specialistica ambulatoriale, data l’ampia base di specialisti a disposizione, sarebbe, infatti, la soluzione logistica migliore per tale PDT.
L’oculista territoriale, che invia un paziente ad intervento di cataratta, deve poterlo rivedere per riconoscere in modo preventivo i pazienti con fattori prognostici sfavorevoli e/o con OSD esistente e prescrivere loro terapie adeguate prima dell’intervento