Generalità su miopia elevata e glaucoma
Per definizione, si parla di miopia elevata in presenza di un errore refrattivo superiore alle - 8 D ed una lunghezza assiale superiore ai 26.5 mm. Tali caratteristiche determinano modificazioni anatomiche rilevanti del polo posteriore del bulbo oculare, le quali conducono ad una aumentata incidenza di complicanze clinicamente rilevanti quali il glaucoma (1).
La prevalenza di glaucoma, la cui insorgenza è conseguente alle alterazioni della regione della lamina cribrosa, si attesta intorno al 4% della popolazione di miopi elevati, secondo i dati epidemiologici forniti dal Blue Mountains Eye Study (2). Purtroppo, la coesistenza di glaucoma e miopia elevata rappresenta una sfida per il medico oculista, sia in ambito diagnostico che terapeutico. Le modificazioni del polo posteriore determinano infatti difficoltà rilevanti sia nella valutazione clinica del disco ottico, della regione peri-papillare e della macula, che nell’interpretazione degli esami diagnostici funzionali (perimetria) e strutturali (OCT) (3).
In aggiunta, i valori di pressione intra-oculare (PIO) sono dotati di potenziale scarsamente discriminante nell’orientamento diagnostico poiché nella maggior parte dei casi rientrano nel range di normalità statistica (4).
Tali aspetti rendono abbastanza ardua la diagnosi di malattia e, di conseguenza, la definizione della PIO target e la pianificazione della strategia terapeutica; inoltre, i suddetti aspetti rendono molto complesso il monitoraggio della malattia nel tempo. Infine, ma non di ultima importanza, glaucoma e miopia elevata coesistono più frequentemente nel soggetto giovane, il che rende ancora più challenging la gestione di tale scenario clinico, considerata l’aspettativa di vita del paziente.
Approcci terapeutici per la gestione del glaucoma nel bulbo miope elevato
Un primo importante elemento da considerare è che non esistono in letteratura studi clinici prospettici e randomizzati (RCTs) che abbiano dimostrato il reale impatto della terapia ipotonizzante nella storia naturale della malattia.
Infatti, ad oggi, è pubblicato solo il baseline report di un RCT, disegnato per valutare l’eventuale beneficio prodotto dalla terapia medica sulla progressione del danno glaucomatoso nella miopia elevata (5). Nonostante l’assenza di supporti scientifici, si raccomanda comunque di ridurre la PIO nei pazienti miopi elevati in cui il sospetto di glaucoma sia fondato, impostando una target pressure che sia mediamente più bassa rispetto ad un glaucoma non miopico.
Gli approcci terapeutici non si diversificano dagli approcci adottati nelle altre forme di glaucoma, iniziando con la terapia medica e poi avvalendosi, se indicato, di procedure laser o chirurgiche.
Terapia medica e terapia laser
Per quanto riguarda i farmaci, non vi sono evidenze di efficacia maggiore di alcuni principi attivi rispetto ad altri, anche se alcune evidenze sperimentali suggeriscono che la sclera più sottile e meno densa del bulbo miope elevato potrebbe agevolare l’azione degli analoghi delle prostaglandine (6).
La laser trabeculoplastica selettiva teoricamente incontra condizioni anatomiche favorevoli nel miope elevato, poiché l’angolo è ampio e le vie di deflusso trabecolari ben aggredibili, nonostante molto sottili; tuttavia, studi dedicati a tale argomento non sono disponibili in letteratura, ed è necessario considerare che i livelli contenuti di PIO potrebbero limitare la reale efficacia ipotonizzante di tale procedura.
Terapia chirurgica
La terapia chirurgica del glaucoma nella miopia elevata costituisce indubbiamente lo scenario più critico nella gestione della patologia, poiché le caratteristiche anatomiche peculiari del bulbo miope elevato espongono a complicanze intra e post-operatorie potenzialmente molto severe, in grado di minacciare la funzione visiva del paziente (spesso giovane e fachico). Le caratteristiche anatomiche che predispongono a complicanze potenzialmente severe sono rappresentate dalla presenza di una sclera più sottile (oltre il 30% rispetto ad un bulbo non miope) e con fibre collagene più sottili, dalla coroide molto assottigliata, e dall’ampia camera vitrea (7).
In presenza di tali aspetti anatomici, la chirurgia perforante filtrante espone ad eventi avversi seri come il distacco di coroide, la maculopatia da ipotono, e le emorragie sovra-coroideali (8). Complicanze analoghe possono riscontrarsi in pazienti sottoposti ad impianti drenanti, nei quali si associa anche un rischio elevato di sviluppare una fase ipertensiva nei primi 3 mesi postoperatori, dovuta allo sviluppo di una capsula compatta intorno al piatto di filtrazione (9). Valutando l’impatto della chirurgia sulla funzione visiva, dati non confortanti sono stati riportati in uno studio condotto da Lopilly Park e collaboratori (10).
In tale studio si è osservato come le procedure chirurgiche filtranti perforanti nella miopia elevata o estrema possano indurre un incremento significativo della velocità di progressione del danno (soprattutto nella funzione visiva centrale), rispetto alle miopie lievi o all’emmetropia. Pertanto, si raccomanda di procedere a chirurgia filtrante soltanto in presenza di chiaro fallimento degli approcci medici e laser, dopo confermata progressione della patologia, e con estrema cautela (11).
Accorgimenti intraoperatori atti a ridurre il rischio di complicanze, quali la limitazione dell’utilizzo (e della concentrazione) della mitomicina C, l’applicazione dell’anterior chamber maintainer, e la sutura attenta del tassello sclerale, sono imprescindibili. Un follow-up postoperatorio molto vigile ed intenso è parimenti richiesto.
Considerati tutti i suddetti aspetti, procedure chirurgiche filtranti non perforanti, quali la sclerectomia profonda o la canaloplastica, gravate da un potenziale minor rischio di complicanze severe, possono rappresentare un buon compromesso in termini di efficacia e safety nel bulbo miope elevato. Vari studi supportano tali presupposti per la sclerectomia profonda, in cui riduzioni pressorie consistenti (oltre il 50% rispetto al baseline) e successi superiore all’80% sono stati riportati a 4 anni di follow-up, con un profilo di sicurezza elevato (12).
Dati molto più limitati, soprattutto sotto forma di case report, confermano tali aspetti anche per la canaloplastica (13). Ad oggi invece, nonostante siamo nell’era dei MIGS, nessuno studio in letteratura ha valutato l’efficacia e la sicurezza delle procedure chirurgiche mininvasive nei pazienti con miopia elevata e glaucoma. Infine, le procedure cicloablative nella miopia elevata vanno considerate con estrema cautela, poiché potenzialmente causa di eventi avversi seri, sia per l’ectopia dei corpi ciliari (localizzati molto posteriormente nel bulbo miope), che per la sottigliezza della sclera.
Conclusioni
La coesistenza di glaucoma e miopia elevata pone numerosi problemi clinici, sia in ambito diagnostico che terapeutico. I numerosi bias che le modificazioni anatomiche del polo posteriore producono sia sulle piattaforme diagnostiche strutturali che su quelle funzionali, spesso non consentono di raggiungere una diagnosi di certezza nei tempi giusti, ed espongono al rischio di cogliere i segni di progressione della malattia in ritardo.
Da tali aspetti conseguono dilemmi gestionali critici, rappresentati dalla scelta del timing terapeutico, dalla carenza di solide evidenze scientifiche sul reale impatto delle terapie ipotonizzanti nella storia naturale della malattia, e dai rischi potenziali sulla funzione visiva derivanti dalle complicanze legate alle procedure chirurgiche.
L’insieme di tali considerazioni impone una meticolosa e vigile osservazione nel tempo del paziente miope elevato, cercando di essere il più attenti possibili nel cogliere variazioni ed allo stesso tempo cauti nella definizione del programma terapeutico in presenza di glaucoma concomitante.
Bibliografia
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