Il film lacrimale rappresenta una componente critica del sistema ottico, con una composizione estremamente complessa che include acqua, elettroliti, mucine e un ampio numero di proteine, lipidi e sostanze antimicrobiche. Zhou et al. hanno studiato la proteomica del film lacrimale, rilevando la presenza di oltre 1500 proteine (1).
Il film lacrimale è stato classicamente descritto come composto da tre strati: (1) uno strato di mucina che ricopre la superficie oculare, prevalentemente secreto dalle cellule mucipare caliciformi congiuntivali; (2) uno strato acquoso, secreto dalla ghiandola lacrimale principale, dalle ghiandole di Moll e da quelle accessorie, che costituisce il 90% dello spessore del film lacrimale ed è responsabile della corretta lubrificazione della superficie oculare; (3) uno strato lipidico, secreto dalle ghiandole di Meibomio e di Zeis, utile per stabilizzare il film lacrimale prevenendo la dispersione o evaporazione dello strato acquoso. In realtà questo tipo di modello rappresenta una semplificazione considerevole di una realtà ben più complessa, in cui i diversi strati del film lacrimale non presentano nette delimitazioni anatomiche, bensì costituiscono una singola unità funzionale (2). Il film lacrimale è la prima componente oculare che influisce sul passaggio della luce. Un’alterata distribuzione o composizione del film lacrimale può determinare variazioni significative del potere diottrico corneale e della qualità visiva (3).
La produzione, l'evaporazione, l'assorbimento e il drenaggio contribuiscono all'equilibrio dinamico del film lacrimale, garantendone integrità e stabilità. Tale equilibrio può essere perturbato da specifiche carenze, sia qualitative che quantitative, degli strati del film lacrimale. La disfunzione del film lacrimale è una condizione ampiamente sottodiagnosticata, che colpisce il 5-30% della popolazione maggiore di 50 anni, incidendo negativamente sulla qualità della vita e della vista dei pazienti (4). La malattia dell'occhio secco rappresenta una condizione patologica in cui oltre alla disfunzione del film lacrimale si determinano anche alterazioni a carico degli epiteli corneale e congiuntivale, del margine palpebrale e delle altre strutture della superficie oculare (5). Sebbene l’acuità visiva misurata in termini quantitativi possa mantenersi inalterata, è stato dimostrato come la disfunzione del film lacrimale possa determinare alterazioni qualitative del visus. Per indagare l’eziopatogenesi della malattia sarà necessario effettuare un’accurata anamnesi per ricercare specifici fattori di rischio. Condizioni sistemiche che predispongono alla malattia dell’occhio secco sono età avanzata, sesso femminile, disturbi ormonali, malattie autoimmuni, allergie, attività professionale o stile di vita che comporti una riduzione della frequenza dell’ammiccamento (videoterminali, stress), l’utilizzo di farmaci in grado di alterare l’omeostasi del film lacrimale. Tra i fattori di rischio locali troviamo la chirurgia oculare (refrattiva, cataratta), l’uso di lenti a contatto, i trattamenti topici ipotonizzanti, l’istillazione di colliri conservati e/o con fosfati, la blefarite o altre affezioni degli annessi o della superficie oculare in grado di determinare un contesto proinfiammatorio (4).
Diagnostica low-tech
Tradizionalmente, il work-up diagnostico della malattia dell’occhio secco si è basato su metodiche “low-tech”. L’ordine degli esami da effettuare deve seguire un criterio di invasività crescente, con lo scopo di ridurre al minimo l’impatto delle tecniche impiegate sulle procedure successive. L’esame biomicroscopico con lampada a fessura dovrebbe essere condotto valutando la superficie oculare, il film oculare e gli annessi come una singola unità anatomo-funzionale.
Il film lacrimale può essere studiato attraverso l’esecuzione del break-up time test (BUT) con fluoresceina (figura 1), utilizzando il filtro blu cobalto della lampada a fessura. Dopo l’istillazione del colorante e l’ammiccamento, al paziente viene richiesto di mantenere gli occhi aperti per più tempo possibile. Il tempo che intercorre tra l’apertura degli occhi e la comparsa di spot neri sulla superficie corneale, indice di una rottura del film lacrimale, viene definito break-up time. Il tempo successivo alla rottura del film lacrimale viene definito come blink induction period, e termina con l’ammiccamento del paziente. Il tempo totale dall’apertura degli occhi all’ammiccamento costituisce il maximum blink interval. Un BUT ≥ 10 secondi è considerato normale (6). Il pattern della rottura del film lacrimale può fornire indizi utili sulla patogenesi dell’occhio secco: un pattern di rottura ad area o lineare è correlato a occhio secco da deficit acquoso, mentre l’occhio secco evaporativo presenta solitamente un pattern maggiormente randomico (7). Alterazioni nella continuità del tessuto corneale e/o congiuntivale possono determinare disfunzione del film lacrimale. Per valutare il danno della superficie oculare è possibile far uso di coloranti come fluoresceina e verde di lissamina. L’impregnazione della fluoresceina (staining) a livello corneale permette di identificare aree di danno dell’epitelio o delle giunzioni epiteliali. Invece, per valutare il danno dell’epitelio congiuntivale, il colorante più indicato è il verde di lissamina. Questo colorante presenta alta affinità per cellule morte e degenerate, filamenti di muco, ed è particolarmente utile nella diagnosi di malattia dell’occhio secco dovuto a cheratocongiuntivite sicca o cheratocongiuntivite limbare. Il colorante rosa bengala presenta scenari d’uso in parte sovrapponibili al verde di lissamina, ma può determinare tossicità a livello della superficie oculare. Per valutare la componente acquosa del film lacrimale è possibile impiegare il test di Schirmer. Una striscia di carta millimetrata assorbente viene posizionata al terzo laterale del fornice palpebrale inferiore, e dopo 5 minuti si verifica la quantità di fluido lacrimale assorbito. Il test di Schirmer di tipo I viene eseguito senza l’utilizzo di anestetico topico, valutando sia la lacrimazione riflessa che quella basale; invece, nel test di Schirmer di tipo II viene istillato l’anestetico al fine di escludere la secrezione riflessa e valutare soltanto la componente basale. Per soggetti giovani il test viene considerato normale se ≥ 15 mm/5 min, mentre negli anziani se ≥ 10 mm/5 min.
Valutare la sensibilità corneale è fondamentale per identificare i casi di occhio secco dovuti a una riduzione del neurotrofismo corneale. In questi pazienti la frequenza di ammiccamento e la lacrimazione riflessa possono essere gravemente ridotti, determinando l’esposizione e il danno degli epiteli della superficie oculare. L’estesiometria è una tecnica diagnostica per misurare la sensibilità corneale. Può essere eseguita toccando la cornea con un semplice filo di cotone, oppure mediante l’estesiometro di Cochet-Bonnet, un dispositivo che contiene un sottile monofilamento di nylon retrattile che si estende fino a 6 cm di lunghezza.
Per quanto riguarda l’ispezione degli annessi è opportuno verificare la pervietà del puntino lacrimale, ricercare segni di infiammazione e/o disfunzione delle ghiandole di Meibomio (MGD). In caso di sospetta ostruzione degli orifizi ghiandolari è opportuno eseguire l’espressione delle ghiandole attraverso l’applicazione di una modesta pressione a livello palpebrale, eventualmente con l’ausilio di strumenti dedicati (8). Se effettuata correttamente, la procedura può portare alla fuoriuscita del contenuto lipidico delle ghiandole. I livelli di densità e colorazione del fluido denotano la gravità della MGD. L’espressione delle ghiandole di Meibomio, oltre a fornire informazioni diagnostiche, è in grado di alleviare temporaneamente i sintomi della malattia.
Diagnostica high-tech
La diagnostica low-tech presenta diverse limitazioni, tra cui l’invasività, la quantità di tempo richiesta e l’impossibilità di ottenere parametri oggettivi documentabili per il monitoraggio. Negli ultimi anni sono state sviluppate metodiche high-tech non invasive che permettono di risolvere queste problematiche, ottenendo migliore riproducibilità d’esame e biomarker oggettivi (9). Diversi device attualmente in commercio permettono l’esecuzione di un dettagliato work-up diagnostico per la superficie oculare; tra questi: IDRA (Sbm Sistemi, Inc., Torino, Italy), Oculus Keratograph 5M (Oculus, Wetzlar, Germany), OSA (Sbm Sistemi, Inc., Torino, Italy), Lacrydiag (Quantel Medical) e Tearcheck (New Tech, Milan, Italy). La tabella 1 riassume e confronta le funzionalità dei singoli strumenti (10). L’altezza del menisco del film lacrimale (lower tear meniscus height) è direttamente proporzionale al volume del film lacrimale, fornendo quindi informazioni indirette sulla componente acquosa (figura 2). Valori normali sono compresi tra 0,2 e 0,5 mm. Una riduzione del menisco lacrimale è tipica di occhio secco da deficit acquoso, mentre un aumento può essere dovuto a risposta lacrimale riflessa per stimoli irritativi o ostruzione delle vie di deflusso lacrimali.
Nel BUT test, l'applicazione di fluoresceina può determinare lacrimazione riflessa; inoltre, le variazioni di quantità o concentrazione del colorante possono influire sulla precisione della misurazione (11). Tramite il Keratograph è possibile la valutazione non invasiva del BUT con l’ausilio di illuminazione ad infrarossi (Non-invasive Keratograph BUT; NIKBUT), senza utilizzo di fluoresceina. Rispetto al test convenzionale, il NIKBUT permette di rilevare l’esatto timing e la precisa localizzazione topografica dei diversi spot di rottura del film lacrimale. In particolare, il Keratograph permette di ricavare il tempo NIBUTf di rottura iniziale del film lacrimale e il NIBUTav che rappresenta il tempo medio di formazione delle rotture del film lacrimale (figura 3).
Anziché impiegare scale di classificazione soggettive, l'R-Scan integrato nell’Oculus Keratograph rileva i vasi sanguigni a livello congiuntivale, ricavando una quantificazione numerica del grado di arrossamento complessivo e dell’arrossamento di specifici settori (bulbare temporale, e nasale, limbare temporale e nasale) (figura 4).
L’esecuzione della meibografia non a contatto è basata sull'autofluorescenza del meibo sano quando viene illuminato con luce infrarossa (figura 5). IDRA e OSA permettono la ricostruzione delle ghiandole in 3D, ad alta risoluzione. La stadiazione del grado di compromissione dell’apparato ghiandolare viene eseguita secondo sistemi di valutazione come Meiboscore o Meibograde, i cui punteggi si basano sulla percentuale di perdita di tessuto ghiandolare. Lacrydiag permette l’attribuzione automatica del punteggio.
Per un’analisi su scala nanometrica dello spessore dello strato lipidico del film lacrimale è possibile avvalersi dell'interferometria, una tecnica di imaging non invasiva basata sulla differenza di fase esistente tra la luce riflessa dallo strato lipidico e la luce che si riflette dall'epitelio corneale. La luce bianca proiettata obliquamente genera frange colorate interferometriche quando passa attraverso il film lipidico e viene riflessa dall'interfaccia lipidi/acqua. Il colore di ogni frangia è determinato dallo spessore del film lipidico.
Tra gli altri, device attualmente in commercio che permettono l’esecuzione di questo esame sono la DR-1 tear interference camera (Kowa Co., Nagoya, Japan), il LipiView II interferometer (TearScience Inc., Morrisville, NC, USA), il Lipiscanner 1.0 (Visual Optics, Chuncheon, Korea), l’Oculus Keratograph 5M e l’IDRA [10]. Complessivamente, le moderne tecnologie di imaging non invasivo per lo studio della superficie oculare forniscono rapporti chiari e dettagliati che riassumono i risultati dei test ottenuti nei singoli esami del paziente. Per esempio, il Jenvis Dry Eye Report del Keratograph fornisce una visione grafica riassuntiva che include l’altezza del menisco del film lacrimale, il NIKBUT, il rossore oculare, la meibografia e il punteggio del questionario OSDI. Nonostante i miglioramenti di accuratezza e riproducibilità rispetto alle metodiche di imaging low-tech, il costo di questi nuovi device limita la loro adozione. È stato inoltre riportato come i risultati ottenuti mediante diagnostica high-tech non siano direttamente confrontabili con quelli ottenuti mediante metodiche convenzionali (11).
Qualità visiva nelle alterazioni del film lacrimale
La disfunzione del film lacrimale e la malattia dell’occhio secco possono determinare variazioni significative del potere del diottro oculare. La curvatura anteriore del film lacrimale presenta un raggio di circa 7,8 mm, con un indice di rifrazione di 1,337, fornendo alla superficie dell'occhio una potenza refrattiva di 43,2 D. Lo spessore del film lacrimale, compreso tra 6 e 20 µm, influisce solo minimamente sul potere diottrico corneale se varia in modo uniforme. Per uno spessore di 20 micron il potere diottrico del film lacrimale corrisponde all’incirca a 0,10 diottrie (D). In caso di irregolarità del film possono presentarsi cambiamenti più significativi nel raggio di curvatura del film lacrimale, in aree specifiche, portando a variazioni maggiori nella potenza diottrica della cornea. Per esempio, un calo del raggio da 7,8 a 7,6 mm comporta un incremento di 1,30 D a livello della superficie oculare (13).
Il film lacrimale è la prima componente oculare che influisce sul passaggio della luce. Un’alterata distribuzione o composizione del film lacrimale può determinare variazioni significative del potere diottrico corneale e della qualità visiva.
Oltre a possibili variazioni nel potere del diottro oculare, le alterazioni del film lacrimale possono portare a riduzione della qualità visiva. È stato riportato un incremento dei valori soglia perimetrici in pazienti affetti da occhio secco dopo l’utilizzo di sostituti lacrimali (14). La diminuzione della sensibilità al contrasto (15) rappresenta un’ulteriore causa di deterioramento funzionale, che si verifica già prima della rottura del film lacrimale, in maniera progressiva (16). È stata riscontrata una proporzionalità diretta tra i cambiamenti della sensibilità al contrasto e lo sviluppo di aberrazioni ottiche (17). L’istillazione di lacrime artificiali permette un miglioramento di entrambi questi parametri (18). La malattia dell’occhio secco può comportare una significativa riduzione dell’acuità visiva, spesso direttamente correlata alla severità della patologia. In un’analisi cross-section del Dry Eye Assessment and Management (DREAM) Study è stato riportato che un visus peggiore corrisponde a punteggi inferiori relativi ai sintomi visivi riportati nella scala OSDI (19). In conclusione, la disfunzione del film lacrimale determina un significativo peggioramento della funzionalità visiva dei pazienti, con relativa compromissione della qualità di vita. Nonostante gli esami low-tech rappresentino ancora oggi un requisito indispensabile per la pratica clinica, il work-up della malattia dell’occhio secco si è arricchito di moderne metodiche di imaging non invasivo che hanno portato al miglioramento dell’accuratezza diagnostica, fornendo misurazioni oggettive e riproducibili.
Gli autori dichiarano l'assenza di conflitti di interesse.
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10. Di Cello L, Pellegrini M, Vagge A, et al. Advances in the Noninvasive Diagnosis of Dry Eye Disease. Applied Sciences 2021, Vol 11, Page 10384 2021; 11: 10384.
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