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Correva l’anno 1961 quando Novotny ed Alvis, due brillanti studenti di medicina dell’Università dell’Indiana, descrissero e dimostrarono la tecnica dell’angiografia con fluoresceina. Da quel momento crebbe vertiginosamente l’interesse da parte dell’oculistica nei confronti della diagnostica per immagini, contribuendo in poco più di 50 anni a rendere indispensabili nella pratica clinica gli strumenti di imaging che possediamo oggi. Dalla scoperta, infatti, che iniettando un colorante vitale quale la fluoresceina si potessero vedere le più fini diramazioni vascolari della retina per mezzo di un retinografo (FAG), si è passati nel 1990 all’introduzione dell’angiografia al verde di indocianina (ICGA). Non dissimile dalla FAG, questa tecnica diagnostica aggiunge la possibilità di apprezzare la circolazione coroideale attraverso l’iniezione in vena di un colorante di peso molecolare maggiore, sfruttando la capacità della radiazione dell’infrarosso di penetrare meglio i tessuti pigmentati. Dal 1991 si fece strada una tecnica innovativa per ottenere biopsie ottiche della retina in vivo ed in tempo reale, senza rischi per il paziente: la Tomografia a Coerenza Ottica (OCT). L’introduzione di questa metodica basata sull’interferometria, segnò l’avvio di una rivoluzione nel campo dell’imaging oculistico, tuttora in corso. Dai primi Time Domain OCT(TD-OCT), in grado di fornire una ricostruzione delle immagini in funzione del tempo impiegato dalla luce per raggiungere lo specchio ed essere riflessa, si è arrivati nel 2006 agli Spectral Domain OCT (SD-OCT) in cui lo specchio di riferimento è fisso e vengono misurate simultaneamente le multiple lunghezze d’onda dell’intero spettro della luce riflessa. Fino a 100 volte più rapidi dei TD-OCT, gli SD-OCT hanno una velocità di acquisizione di 20000-52000 A-scan al secondo, una risoluzione di 5-7 µm e una maggiore profondità di segnale.
Punto debole di entrambe le metodiche è la scarsa risoluzione della giunzione sclero-coroideale e della regione peripapillare, meglio visualizzabili con l’Enhanced Depth Imaging OCT (EDI-OCT) e lo Swept Source OCT (SS-OCT). L’EDI-OCT permette di ottenere immagini ad alta definizione a profondità maggiori (circa 500-800 µm in più) rispetto agli OCT convenzionali, attraverso un’inversione delle due immagini speculari prodotte dalla ricostruzione digitale dell’inteferogramma. Attualmente, l’ultimo ritrovato del settore è lo Swept Source OCT (SS-OCT), che utilizza una sorgente di luce a lunghezza d’onda molto maggiore (1050 nm vs 840 nm dello SD-OCT), una velocità di scansione più elevata (dell’ordine di 80000-236000 A-scan/sec), una riduzione del tempo di acquisizione di ogni singolo B-scan (0.01 sec vs 0.02 sec degli OCT tradizionali) e una maggiore risoluzione (1 μm SS-OCT vs 3 μm SD-OCT). Grazie alla sua elevata lunghezza d’onda, lo SS-OCT fornisce una brillante visualizzazione di vitreo, coroide e sclera; esso inoltre, a differenza dello SD-OCT, permette una maggiore visualizzazione qualora siano presenti opacità dei mezzi diottrici.
Accanto ai tradizionali OCT con differenti lunghezze d’onda, sì è recentemente affacciato l’ Angio OCT (OCT-A). Si tratta di una nuova tecnica diagnostica, non invasiva e veloce, capace di fornire una ricostruzione tridimensionale dei vasi perfusi sia della retina che della coroide, utilizzando come mezzo di contrasto il normale movimento del sangue nei capillari. L’OCT-A confronta un insieme di immagini (OCT B scan sequenziali) prese nello stesso punto ma in istanti diversi e valuta il segnale di decorrelazione (differenze di intensità o di ampiezza del segnale OCT retro-diffuso o “backscattered”). Tale segnale di decorrelazione può essere elaborato usando vari algoritmi, tra cui i più utlizzati sono il SSADA (split spectrum amplitude decorrelation algorythm) e il FULL SPECTRUM. L’algoritmo SSADA sacrifica la risoluzione assiale perdendo parte dello spettro, permettendo però di incrementare rapporto segnale\rumore e migliorando quindi la qualità dell’immagine; di contro l’algoritmo Full-Spectrum, che necessita della tecnologia Swept-Source, sfrutta tutta lo spettro e, quindi, permette di non sacrificare la risoluzione assiale e di non perdere informazioni degli strati profondi.
Nell’OCT-A a differenza delle tecniche angiografiche tradizionali quali FAG e ICGA, non esistono fenomeni di iperpermeabilità vascolare (leakage), accumulo di colorante (pooling), o impregnazione (staining) e i vasi vengono visti più chiaramente, essendo riportato il flusso intravasale senza la dinamica del colorante. La mappa del flusso sanguigno corioretinico viene ricostruita in pochi secondi, analizzata strato per strato, mediante una visualizzazione en face, ovvero una ricostruzione frontale dell’immagine OCT-A. In questo modo è possibile studiare separatamente il plesso retinico superficiale (localizzato nello strato delle cellule ganglionari e delle fibre nervose), profondo (a livello degli strati nucleare interno e plessiforme esterno) e quello coroideale (coriocapillare). Poiché l’OCT-A confronta B-scan consecutivi, esso individua il flusso solo al di sopra di una certa velocità di soglia. Qualora il flusso sanguigno sia molto lento, e quindi al di sotto di tale soglia, esso non può essere rilevato da tale metodica.
Nei soggetti sani l’OCT-A consente di visualizzare i principali vasi della regione maculare e in maniera dettagliata il network capillare intorno alla zona avascolare foveale (FAZ). Paragonato alla FAG, l’OCT-A rivela più dettagli capillari in tutti gli strati vascolari.
Le applicazioni cliniche dell’angiografia OCT sono numerose e in continua evoluzione e comprendono l’intero spettro delle malattia corioretiniche, soprattutto malattie vascolari quali retinopatia diabetica (RD), occlusioni venose retiniche (OVR), degenerazione maculare legata all’età (DMLE), neovascolarizzazioni coroideali (CNV), teleangectasie maculari (TM), corioretinopatie sierose centrali acute e croniche (CRSC).
Con l’OCT-A è possibile osservare dai microaneurismi nei soggetti con retinopatia diabetica, alle tortuosità dei vasi nelle occlusioni venose retiniche, dalle aree di ischemia visibili come zone di rarefazione della trama vascolare alle aree di edema in cui i vasi sono meno regolari ed evidenti sia nei pazienti con RD che nelle OVR fino alla visualizzazione dei neovasi al di sotto o al di sopra dell’epitelio pigmentato retinico (EPR). Uno dei più promettenti campi di applicazione dell’ OCT-A è, infatti, l’individuazione delle neovascolarizzazioni coroideali (CNV). Mentre le altre tecniche di imaging non sono in grado di identificare direttamente la struttura della CNV, ma la presenza di tessuto anomalo al di sopra e al di sotto dell’ EPR, l’OCT-A riesce a definire e quantificare l’eventuale neovascolarizzazione. Delle CNV è possibile valutare in maniera precisa l’estensione e la morfologia della rete vascolare senza i problemi legati alla dinamica del colorante: i neovasi appaiono più sottili e irregolari con una disposizione a piovra, a ventaglio, a ragnatela, a ruota di bicicletta, e quasi sempre è possibile notare un vaso o un fascio vascolare afferente e le anastomosi periferiche; in seguito a trattamento con anti VEGF (fattore di crescita dell’endotelio vascolare) essi tendono ad andare incontro a regressione parziale con persistenza di residui rami assottigliati e diradati.
L’OCT-A è una metodica rivoluzionaria nella diagnosi ma anche nel follow-up delle patologie vascolari dell’occhio, priva degli effetti collaterali associati all’iniezione in vena di coloranti che vanno dalla nausea a vere e proprie reazioni anafilattiche. Può essere eseguita tranquillamente in tutti i soggetti, comprese donne incinte o persone con gravi patologie cardiache, polmonari, renali. Non richiede la presenza di personale infermieristico, né tantomeno della figura dell’anestesista. Può essere realizzata in qualsiasi momento, quando ritenuto necessario. Il paziente non deve avere necessariamente una midriasi ottimale per eseguire l’esame, in quanto buone immagini possono essere ottenute anche con pupilla reagente e talvolta in miosi; tuttavia, un presupposto fondamentale è la buona collaborazione del paziente che deve evitare i movimenti oculari al fine di non generare artefatti, anche se con l’introduzione dell’eye tracking in OCT-A questo inconveniente viene quasi completamente superato. Accanto a tanti vantaggi ci sono diversi aspetti ancora da migliorare. Il primo limite di questa nuova tecnica riguarda l’ampiezza dell’area esplorabile (3x3 mm, 6x6 mm e 8x8 mm), il secondo la necessità di una fissazione precisa per ottenere buone immagini. Non è sempre facile fare diagnosi e prendere delle decisioni terapeutiche solo sulla base dell’Angio OCT, per esempio nella valutazione di attività o meno di una CNV, dove può essere necessario eseguire FAG e/o ICGA. Altre volte, tuttavia, l’angiografia statica riesce dove non arrivano le altre due metodiche dinamiche, come accade nella individuazione di CNV in pazienti con corioretinopatia sierosa centrale cronica, difficile da diagnosticare essendo la CRSC stessa a essere associata con distacco dell’epitelio pigmentato, fluido sottoretinico e pattern di iperfluorescenza mal definito alla FAG o ancora nella identificazione di membrane neovascolari quiescenti.
Teatro di discussione degli ultimi sviluppi delle tecniche diagnostiche più all’avanguardia sarà la seconda edizione del “SAN RAFFAELE OCT FORUM”, un congresso che riunisce i protagonisti mondiali della diagnostica oculare nelle malattie retiniche. Organizzato dal Professor Giuseppe Querques e presieduto dal Professor Francesco Bandello della Clinica Oculistica dell’Università Vita-Salute San Raffaele, l’appuntamento è fissato per l’8 ed il 9 aprile 2016 presso l’ospedale San Raffaele di Milano. La novità di quest’anno sarà la suddivisione del congresso in due sezioni: la prima affronterà le più recenti acquisizioni nella terapia delle malattie retiniche con la possibilità di discutere casi clinici con i relatori, mentre la seconda giornata sarà dedicata all’imaging. Tra i relatori del congresso spiccano Anat Loewenstein del Tel Aviv Sourasky Medical Center, Paulo Stanga del Royal Eye Hospital di Manchester, Sobha Sivaprasad del Moorfields Eye Hospital di Londra, Borja Corcóstegui dell’IMO di Barcellona, Eric Souied dell’ospedale Intercommunal di Creteil, Alain Gaudric del Lariboisiere Hospital di Parigi, Gabriel Coscas, José Cunha-Vaz dell’Università di Coimbra e Usha Chakravarthy della Queen’s University di Belfast. Prenderanno parte al congresso anche relatori provenienti da oltreoceano, tra cui Srinivas Sadda, editore della sezione di diagnostica oculare dell’ultima edizione del libro Retina di Ryan et Al., appartenente al Doheny Eye Center di UCLA, Neil e Susan Bressler del Johns Hopkins Wilmer Eye Institute di Baltimora, Philip Rosenfeld del Bascom Palmer Eye Institute di Miami, K. Bailey Freund del Vitreous-Retina-Macula Consultants of New York, Alexander Brucker del Presbyterian Medical Center di Philadelphia, David Sarraf del Jules Stein Eye Institute di UCLA e Marco Zarbin della New Jersey Medical School.
Anche ricercatori al vertice del panorama italiano interverranno al SAN RAFFAELE OCT FORUM: oltre a Francesco Bandello e Giuseppe Querques, saranno presenti Teresio Avitabile, Claudio Azzolini, Piero Barboni, Maurizio Battaglia Parodi, Rosario Brancato, Giuseppe Guarnaccia, Ugo Introini, Lorenzo Iuliano, Paolo Lanzetta, Rosangela Lattanzio, Bruno Lumbroso, Leonardo Mastropasqua, Edoardo Midena, Ugo Menchini, Massimo Nicolò, Alfredo Pece, Luisa Pierro, Stanislao Rizzo, Giovanni Staurenghi, Mario Stirpe, Monica Varano, Francesco Viola e Gianpaolo Zerbini.